Storia dell’U. (Il tempo). Parte seconda

di Paolo Massimo Rossi

La prima parte di Storia de l’U.  (Luce e Terra) la trovate cliccando QUI

Per un momento l’U. si abbandonò a un mormorio. Difficile da intendere. Ogni cosa andrebbe studiata, se non prima almeno dopo. Solo la stanchezza può impedire di incorporarlo profondamente nell’anima.

Il mormorio, con stupore dell’U., proveniva dalla sua interiore corporalità. Era forse un nome, un nome mormorato nel dubbio, nella paura. Come un vento invernale su un mare tranquillo, l’U. si rivolse a se stesso e si vide sulla spiaggia di quel mare. Strisciando affrettandosi si gonfiava si placava, moriva.

Allora ebbe certezza che fosse venuto dal tempo e al tempo tornava. Vincitore di un premio indesiderato, come una mobile increspatura che agitandosi s’allargava sino all’immobilità.

Il tempo cos’era? Dov’era? Il tempo vero era quello ignoto del prima che l’U. arrivasse a non sentire e quello da aspettare dopo che l’U. lo avesse sentito. Mentre il tempo presente restava (resta) ignoto e non conoscibile. Per l’U. era ed è convenzione. Avrebbe potuto benissimo restare senza che curiosità spingesse a conoscerlo o, anzi, a misconoscerlo.

L’ U. sospirava, ordinava: sospira! Il giorno era da inseguire, invisibile agli ingannabili più e al sé brancolante. Genio e giovinezza, quelle del tempo che precede e quelle del tempo che segue sono forse volati e volate? Sola garanzia dell’esistere, garanzia che in quanto tale se n’è andata: la vita prima e dopo, dunque la vita nella vita.

Qualcuno gli disse (a L’U) che nulla sarebbe sopravvissuto, se nella carta da parati delle stanze a(o)coniche il silenzio fosse stato solo speranza, desiderio, visione. Allora L’U. avrebbe potuto inudire annoiato la propria risposta.

Dunque, che speri? Qualcun (Q) domandò. E L’U: a proposito di che? E Q: del fare senza sapere. E L’U, non sapendo: chi ha scritto una storia della musica senza saper suonare? E Q, rispondendo: dunque, decomporre ed esprimere è sempre commento, per a-detti e su-detti. L’U. aggiunse: Michelangelo lanciò il martello contro una statua Nettuniana, dicendo: Che mezzo di pietra sprecata! E Q: Oggi avrebbe dei plausi. Al che L’U: Pace per la filomania, come disse un poeta, ma è necessario ascoltare. Che cosa? Q domandò. Rispose L’U: Le parole che, per vanità meretrici, a volte si svendono in lacrimevoli sensi, tesi a commuovere cuori con velleitari languori.

Concluse Q: Non avrai plaudi per questo.

(Fotografia di P.M. Rossi: Il tempo al Musée d’Orsay)

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