Storia dell’U. N° 4 (rhythm and music)

di Paolo Massimo Rossi

Storia dell’U. N° 4 (rhythm and music)

Fu nel vicolo di un concerto che l’U. guardò un signor pianista seduto a un pianoforte e che un foglio pentagramato lasciava intravedere ad adoratrici in maschera, allacciate a una melodia cantante e a vecchi amanti. le destre dita in do, mib, sol del musicista in minore apparivano come artigli fissi, mentre le altre (dita) restavano a mezz’aria, pronte a scivolar sui tasti con la rivolta in settima, dominio del sol (settimino?).

Armonie sgocciolanti su auscultati accordi: il silenzio garantiva languide assonanze casualmodali. ma – anzi eppure – la musica non esisterebbe senza il silenzio. questo, qual liquido amniotico nel quale immergersi beati, monadicante che salva e protegge. il silenzio biscromato del tempo rende(va) la musica quaterdimensionale.

Tremore nell’anima trovò accoglienza in l’U..

Tempo fu carceriere, custode e guardiano. ma “quale tempo?” fu la domanda. quando e cos’è?

Rispose l’U.: quello vero precede il quotidiano soffrire e lo segue scuotendo le chiome sfilzate, mentre l’attualità si regge e prospera tra alloristi e invecisti ignari – per normale allopia – che il pianista era una (la).

Quanti anni ha (aveva) l’U.? forse è (era) vecchio.

Ma per i vecchi c’è sempre il libero arbitrario cui affidarsi oppure no.

Certo, l’U. sapeva che i suoi silenzi, come anche quel che andava contando nel contesto, non erano fatti per piacere. per questo, pensava essere giusto un rinvio, pur senza debordare nella morte nell’anima, gli restava solo il sospetto che con la vecchiezza futura – e anche passata – avrebbe avuto difficoltà ad avere ah! (mon cher j.p.) l’età (della) per la ragione.

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