Storia dell’U. n° 5. (Pensare)

di Massimo Paolo Rossi

Storia dell’U. n° 5. (Pensare)
Likes olent: accade. L’U. pensava. I pensieri si sforzavano di ubbidirgli, le risposte erano desolate.
Com’era stata una sua vita nei tempi veri che precedettero e poi seguirono i giorni artefatti, disgustosi, affaticanti e sudati dell’oggi?
Accadeva che rimanesse nel letto ad ascoltare i suoi passi deambulanti nell’allontanarsi. Ebbe il sospetto della malinconia, ma l’aria (all’aperto) e il sole (primaverile) filtrato da quella, promettevano consolazione: l’U. non pensava più al compagno specchiato (lui stesso, il sé) che era lì ad aspettare nel bagliore lunare.

Visione d’altra parte impossibile senza le ombre della casa accogliente, forse cantatrice.
Il cane latrò, abbaiando: “benvenuto, benvenuto!”, ti aspettavo al ritorno! La gioia nella coda diceva: non farmi ammazzare ti prego, ancora giovane sono!
Era triste? Anche l’U. lo è (era). Che sia una bella prova di prosa? Una prosa scritta su chiari e trasparenti fogli. L’U. li osservava, con occhi fessi, qual quelli di un gabbiano malato, turbato per il risvegliarsi del sesso.
Su quest’idea l’U. si accaniva contraddicendosi, cioè avido dell’ombra eppure differente alla luce. Aria lieve (di primavera) supposta inalata, lontana da nutrimenti nebbiosi (d’inverno), digeribili nel caso.
Si disse l’U.: quanto sono sentimentale nello scrivere! Mentre lo diceva, sopravvenne a lui un dubbio: perché dirlo? Che sia a causa dei giovani anni (quali quelli del cane)? Nel tempo presente (quello tra i veri) prese atto: non essere più, al limite, tendente a zero dell’essere un altro. Era se stesso nel tempo di prima e se stesso nel tempo di dopo.
E tra questi? L’enfasi di una apparente impostura.

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