Storie di amiche e di amicizia (prima parte)

DI DANIELA LUCCHESI

La sensazione è quella del freddo sulle cosce nude, freddo come un ventre che si ostina a rimanere vuoto.
Irene è seduta sul bordo della vasca da bagno, tra le dita un oggetto inutile.
La stessa sensazione di freddo e inutilità si ripete ogni mese negli ultimi tre anni. Eppure ci sperava anche questa volta, ogni volta il miracolo sembra possibile.
Per le altre sembra facile, le altre rimangono incinte anche se non vogliono.
Lei no, lei non è fertile. Lascia cadere dalle dita il tester con quell’unica linea sbiadita nel mezzo.

Si alza, si infila frettolosamente i jeans e guarda quell’esile striscia rosa pallido che le sembra una bocca dalla linea derisoria e con un gesto deciso lo butta nella pattumiera.
In camera dà un’occhiata al mucchio di vestiti che ingombra le sedie, hanno invaso perfino il ripiano del cassettone, mentre sotto il mobile una decina di scarpe fanno bella mostra di sé.
Ci vorrebbe un ripostiglio in questa casa o il lusso di una stanza in più.

Cambiare casa, un altro sogno irrealizzabile, almeno per il momento, forse fra qualche anno, quando io guadagnerò di più come illustratrice e magari anche Davide riuscirà ad affermarsi con qualche gallerista.
Apre l’armadio per cercare qualcosa per la serata. Sceglie una gonna grigia aderente e corta, calze colorate a righe viola e un maglione color malva. Passa le dita tra la lana angora, vellutata come il piumaggio tenero di un uccellino, indossa la maglia e si sente al sicuro come in un nido.
Questa sera si festeggia il compleanno di Claudia, la prima tra le amiche dei tempi della scuola a compiere 40 anni.

Irene dedica un’attenzione premurosa al trucco, si passa un secondo strato di rossetto sulle labbra e si osserva allo specchio con aria critica: le gambe snelle fasciate di righe, le braccia lunghe e sottili, il petto esile, ma la maglia voluminosa avvolge la sua magrezza rendendola più morbida. Gli occhi, velati d’inquietudine, galleggiano nelle ombre delle occhiaie che il correttore non è riuscito a nascondere. Con dita nervose riavvia i capelli castano-mogano, una massa di ricci indisciplinati che ricadono disordinati ai lati del viso.
Ci tiene ad apparire bella questa sera, non vuole sfigurare nel confronto.
Sale nella sua Kalos blu elettrico, si dirige verso il quartiere residenziale a sud dove una sfilza di bifamiliari nuove, uniformi per stile e colore, sembrano l’opera di un bambino che ha disposto ogni pezzo delle sue costruzioni in modo ordinato e diligente creando un quartiere perfetto e un po’ surreale in questa piccola città del nord-est.

Accende la radio e nell’auto si diffonde la voce di Loredana Berté: “Non sono una signora/
Una con tutte stelle nella vita/Non sono una signora/Ma una per cui la guerra non è mai finita …”

Irene alza il volume al massimo e si ricorda quando adolescenti lei e le altre ascoltavano la canzone nella sua vecchia A112 e cantavano a squarciagola il ritornello. Un’ultima occhiata nello specchietto e scende con un sospiro.
Elena le apre la porta col piccolo Leo attaccato al seno: “Scusami Irene, entra un istante, è sempre un problema staccarlo”, le dice l’amica con un sorriso infastidito che diviene una specie di smorfia.

Irene è ipnotizzata da quella minuscola bocca a ventosa che succhia voracemente un seno florido, traboccante di latte e passa le dita sulla testa del bimbo con una carezza leggera.
Lui si separa con uno schiocco dal seno materno lasciando un capezzolo rosso e umido così grosso che ad Irene ricorda stranamente un proiettile. Per una frazione di secondo gli occhi del bimbo incrociano i suoi, poi si rigira svelto verso la madre, pronto a riacciuffare il suo capezzolo. Elena, veloce, si è tirata su la spallina del vestito e Leo le rivolge uno sguardo sconcertato e furioso prima di scoppiare in un pianto convulso.
“Sembra che senta quando devo uscire, diventa intrattabile e appiccicoso.” e di nuovo ricompare quella leggera smorfia sulle sue labbra scarlatte; decisa e distante deposita il fagotto recalcitrante in un seggiolino, mentre urla al marito: “Scendi che io devo uscire, c’è un biberon di latte pronto in cucina, daglielo fra un’oretta.”

Dalle scale proviene uno scalpiccio di piedini scalzi e frettolosi e compare Mirko che lancia un aereo in direzione della madre, ignorando sfacciatamente il saluto di Irene.
“Tu sì, che sei l’amore della mamma, l’ottava meraviglia del mondo.”
Irene osserva l’amica che guarda con occhi innamorati il suo primo rampollo e una piccola fitta le stringe lo stomaco: “Dai, andiamo che le altre ci stanno aspettando.”
Elena distende le pieghe dell’abito nero sui fianchi, si aggiusta i lunghi capelli biondi raccolti in uno chignon alto sulla nuca. Getta un’occhiata distratta allo specchio che riflette due grandi occhi azzurri e un corpo dalle forme armoniose, anche se ora i seni gonfi premono eccessivi la stoffa che sembra dilatarsi sul petto.

Claudia ha scelto un ristorante chic, appena fuori città, per questa cena intima tra vecchie amiche. Ora sta sorseggiando un aperitivo con Samuela, le sue dita lunghe e affusolate accarezzano il calice mentre ondeggia il capo in segno di assenso alle parole dell’amica.
La risata allegra e contagiosa di Samuela accoglie Irene ed Elena.
“Oh, eccovi qua – con un gesto elegante Claudia fa oscillare lievemente il polso della mano sinistra e getta un’occhiata all’orologio – il ritardo è accettabile, cominciavo a preoccuparmi.”

Le donne si salutano con un abbraccio.
Dopo un po’ arriva Renata: “Salve ragazze, scusate ma stasera la riunione con l’amministratore delegato non finiva più, ragazze… si fa per dire, ehi Claudia – e le si avvicina, i volti si sfiorano – cos’è la ruga dei quarant’anni quella che vedo in mezzo alla fronte?” e scoppia in una risata…

Continua….

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