Succede, descrizione di un luogo unico

DI FABIO BORLENGHI

Succede di passare una giornata in un luogo speciale, bellissimo, osservando qualcosa di unico.

E perché parlarne e addirittura descriverla?

Per una sorta di spontanea compensazione interiore, vivendo noi tutti un momento storico di azzeramento della ‘bellezza’, nella quale ricadono la pace nella convivenza e l’equilibrio interiore delle persone.

Succede quindi, in un giorno di maggio, di ritrovarsi, con l’amico Gianni, in uno dei siti di nidificazione dell’Aquila reale dell’Appennino centrale, in provincia di Rieti, per controllare la nidificazione delle amate aquile.

Il sito è posto in una piccola valle luminosa il cui fosso, ricco di acque cristalline, nasce alle pendici di una montagna al confine con l’Umbria per poi dirigersi verso un’estesa pianura ricca di storia e tradizioni antiche, custodite nei tanti minuscoli centri abitati che portano ancora evidenti i segni del terremoto del 2016.

All’ingresso della valle ci accoglie un grande prato verde costellato di fiori spontanei di vari colori, gialli…viola…azzurri, davanzale naturale di un piccolo paese il cui stemma riporta, non a caso, un grande rapace in volo.

A metà del secolo scorso questo prato, come altri dell’Appennino, era coltivato a grano dalle tante famiglie residenti del paese quando ancora il mondo rurale mostrava segni di vitalità per poi tramontare negli anni a seguire verso un modello di società più comoda ma anche più complessa o, per meglio dire, complicata.

I segni ancora evidenti di un vecchio stradino di campagna ci portano all’ingresso vero e proprio della valle, dove il prato lascia il posto ad aceri campestri, carpini, sorbi montani e i primi faggi; si tratta di un vero e proprio bosco, non molto esteso, che lascia tuttavia uno spazio naturale al prato lungo la sponda del ruscello sulla destra idrografica del fosso.

D’improvviso un capriolo maschio si fa scorgere mentre lesto guadagna il bosco.

La visione dell’ambiente naturale coglie alla destra di chi osserva un ramneto ancorato a un’estesa pietraia a 1400 m di quota; questa presenza, unitamente ai tanti arbusti di rosa selvatica e a qualche vecchio melo selvatico lungo il fosso, fa il pari con i segni di presenza dell’orso da noi

rilevata nell’inverno dell’anno passato.

Più avanti, sempre sulla destra di chi guarda, si trova un modesto sistema roccioso fatto di scogli calcarei, scarpate precipiti, pietraie di frana e arbusti emergenti vari mentre a sinistra un ripido pendio boscoso nasconde qua e là qualche roccia isolata, su una delle quali è ancorato un alveare selvatico ora disabitato.

Sui crinali del medio corso della valle si stagliano pini neri messi a dimora dalla forestale negli anni della metà del novecento.

Le aquile hanno tre nidi che ogni anno utilizzano a rotazione con un criterio incomprensibile a noi umani, e in questo sta il fascino della natura.

Quest’anno la nidificazione sta avvenendo in un nido ricavato in una piccola caverna nel mezzo di un pendio franoso; una cavità che a distanza appare come un semplice foro in uno scoglio roccioso. Niente a che vedere con i consueti grandi nidi di aquila fatti di un ammasso secolare di rami secchi.

Sette ore abbiamo passato insieme alle aquile in questa piccola valle luminosa, speciale cornice alla vita di un grande predatore tornato a nidificare in questi luoghi dopo decenni di persecuzioni.

Più volte la femmina è sembrata alimentare il pulcino o i pulcini nascosti alla vista nella cavità mentre il maschio di coppia sorvolava la valle scacciando gli intrusi nello spazio di cielo sovrastante come nel caso di una poiana allontanata a forza verso l’uscita della valle o meglio graziata dall’irruenza dell’aquila che avrebbe potuto ucciderla, sennonché questa volta è prevalsa la pace…, fosse sempre così per noi sapiens!

L’insieme di tutte queste immagini e visioni, seppur belle e non comuni, hanno lasciato il posto, a fine giornata, a una visione speciale, quasi il finale di una rappresentazione teatrale che accentra nell’ultimo atto la scena più bella, suggestiva, unica.

E allora succede che il mite clima pomeridiano dia alla femmina la possibilità di lasciare il nido per concedersi un momento di riposo e questa non si lascia scappare l’occasione.

Così s’invola dal nido e raggiunge quello che rappresenta il luogo più esclusivo delle aquile, la vera zona wilderness del loro territorio di nidificazione. E’ la testata della valle, la parte più a monte, composta di un piccolo anfiteatro semicircolare dove affiorano rocciai solitari, alcuni dei quali di un incredibile colore rosa antico.

All’apice di uno di questi va a posarsi la femmina sovrastata dalle ampie fronde verdi di un grande albero. Sopra l’anfiteatro domina il bosco a mo’ di cornice naturale.

Al di sotto dell’aquila, ferma sul pinnacolo roccioso, pietraie scoscese alternate a praterie montane. Osservo tutto questo al cannocchiale, sembra un dipinto magistrale, e.. succede che mi arrivi una forte intensa emozione.

Tutto è fermo e tutto si offre alla contemplazione. L’aquila è immobile con i suoi artigli posati sulla nuda roccia, il becco possente rivolto al sole e le penne dorate del capo a riflettere la luce. Sembra anch’essa godere di tanta bellezza e tranquillità, infastidita da niente e nessuno, con il suo partner maschio a caccia chissà dove per lei e la prole.

I minuti trascorrono e si vorrebbe che tanta bellezza perdurasse nel tempo a disposizione di chi l’ha scoperta e ne gode; insomma che tutto questo non finisse mai…con l’aquila ferma immobile sul rocciaio.

Ma poi la scena torna dinamica, con l’aquila che s’invola maestosa, scende lentamente la valle ad ali socchiuse per poi riaprirle frenando il suo volo sul bordo del nido; la aspetta una sera e una notte di cure parentali verso la sua prole.

Lasciamo la valle e pensiamo che tutto questo sia troppo bello perché sia vero, eppure è così…è successo.

©® Copyright foto di Fabio Borlenghi

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