Siamo gli ultimi della classe.
Mentre Meloni cambia nome al ministero dell’istruzione aggiungendovi il “merito” (sottinteso: degli studenti) di cui tanto si discute in questi giorni, ecco arrivare l’aumento di 100 euro lordi per i docenti.
Non faccio colpa a questo governo di aver pochi soldi a disposizione, come del resto i precedenti, visto che abbiamo coperto di debiti (grazie anche a una ciclopica evasione fiscale) i nostri figli e i nostri nipoti.
Faccio colpa all’intero paese di non aver ancora capito che questa è la professione più difficile, delicata e decisiva per il nostro futuro.
Leggiamo di insegnanti derisi e aggrediti dagli allievi e perfino da maneschi genitori che per i figli vogliono il titolo di studio ma non educazione e seria formazione culturale, e intanto si inseguono in rete e sui giornali le amare confessioni di tanti docenti avviliti e frustrati.
Possiamo dar loro torto quando si sentono screditati dal sentimento comune e declassificati quanto al valore sociale del loro lavoro?
I soldi (gli stipendi) non sono tutto nella vita, questo è vero, ma nella società la retribuzioni delle mansioni e delle professioni significano molto.
Che considerazione possono avere gli studenti e i loro genitori di insegnanti che in Italia prendono meno di un lattoniere o di un manovale di cantiere edile?
Lavorare sulle e “per” le persone giovani e in via di formazione umana è forse meno difficile, meno delicato, meno rischioso, meno socialmente utile che lavorare “sulle cose”?
Che stima possono avere dei loro docenti gli allievi che vedono i loro docenti considerati molto, molto meno di tanti altri professionisti intellettuali? Di quale credito e considerazione pubblica possono godere una maestra e un professore che guadagnano in un mese quello che altre professioni guadagnano in una settimana o anche solo in un giorno (in molti casi, in un’ora)?
Se non cominciamo a pensare che i compensi dei nostri docenti dovrebbero essere almeno equivalenti a quelli di un medico di base (non dico di un avvocato o di un dirigente d’azienda) l’Italia non avrà futuro perché non basteranno a salvarci la nostra moda e il prestigio dei nostri vini.
Diciamolo pure: gli stipendi dei docenti dovrebbero essere almeno il doppio di quello che sono oggi.
E aggiungo: parificando le differenze che esistono oggi fra maestri dell’infanzia e scuola superiore, perché formare un sedicenne non è certo meno impegnativo che decifrare le difficoltà, le fragilità, i bisogni di un bimbo di tre, quattro anni.
Allora sì – una volta alzati considerevolmente i loro stipendi- si dovrebbe far valere il criterio del merito, ma proprio per i docenti, con severe verifiche da parte di commissari a questo debitamente formati non solo sulle competenze culturali (le materie di insegnamento) ma anche sulle capacità relazionali di maestri e professori, che devono disporre di competenze anche psicopedagogiche di alta specializzazione (anche queste oggi mai verificate).
Accadrà mai che il lavoro e la figura pubblica del docente italiano – perché no il suo prestigio?- (ri)conquistino il riconoscimento di cui disponevano quando DeAmicis scriveva il suo “Cuore”?
E torno intenzionalmente ai miei ricordi di bambino appena post-ottecentesco , quando la maestra e i professori erano per me e per i miei coetanei figure di riferimento non solo culturale ma anche umano. Ma allora le loro parole contavano più di un cinguettio di Twitter o di una parolina di Chiara Ferragni.
Senza dimenticare che in fatto di trattamento economico degli insegnanti siamo in Europa gli ultimi della classe.
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