Telemaco Signorini, Piazza a Settignano

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Telemaco Signorini: la forza della creatività unita allo spirito di adattamento.

Un sentimento empatico e tenace in grado di recepire, ma non di soccombere, prima nei confronti del padre Giovanni – grande vedutista, conosciuto come il Canaletto di Firenze – dal quale presto si affranca per affermare una personalità differente ed innovativa, poi nei confronti dello stesso movimento macchiaiolo, di cui percepisce sin dall’inizio le straordinarie potenzialità e poi rielabora secondo canoni interpretativi personali in grado di variarne le innumerevoli esperienze figurative.

Sì, poiché Signorini è talvolta, spesso, tacciato di oscillatoria incoerenza, sospesa tra la volontà di rappresentare gli ambienti conosciuti durante una carriera di viaggi, spostamenti e sperimentazioni, e l’adesione a correnti già di per sé innovative, quindi poco disposte a tollerare ingannevoli allontanamenti.

Un temperamento irrequieto e scaltro, colto e indipendente, impossibile da relegare ad un ambito esclusivo, difficile da rinchiudere in un unico luogo, perennemente alla ricerca di nuove soluzioni in grado di assecondare una fervida, quanto insopprimibile fantasia creativa.

Un linguaggio differente e mutevole. Cosmopolita. Ed è attraverso di esso che l’autore toscano esprime la ricchezza di una fantasia derivante sia dalla forte capacità di osservazione, in grado di variare linguaggio e stile comunicativi, che da una inconscia sensibilità atta a mostrarne gli aspetti più o meno reconditi, realizzando opere non solo vedutiste ma anche sociali e scomode che non disdegnano temi difficilmente graditi, al contrario spaziando entro situazioni complesse, a tratti polemiche, in grado di destare non poche perplessità.

L’abilità di rendere un’atmosfera piuttosto che un’altra, lo porta a ritrarre i borghi frequentati a Settignano, caratterizzati da un’aura di intensa, assolata calma, resa attraverso studi geometrici e volumetrici di compassata compostezza, per poi passare alle destinazioni europee, ognuna identificabile secondo umori ed impressioni del momento.

Compare così Leith, in Scozia, uno dei porti di Edimburgo, dove soggiorna per diverse volte, anch’essa fissata in una dimensione propria e invalicabile che cupamente la contraddistingue, per poi passare alla quiete più serena di Montmartre, collina nei pressi di Parigi, nota per una aspetto agreste e popolare, dominante almeno fino all’inizio del secolo scorso.

Piazza a Settignano, uno dei suoi soggetti favoriti, proprio a causa di questa naturale propensione risulta più difficilmente databile di altre opere. Potrebbe risalire al 1880, o comunque agli anni successivi al 1879, poiché è storicamente provata la frequentazione, in detto periodo, da parte dell’artista, ma avendolo scelto più volte come tema, la collocazione temporale appare oltremodo incerta.

Rimane comunque una delle sue più interessanti e belle composizioni: molto apprezzata per l’atmosfera assolata in grado di ingentilire la formalità degli edifici presenti, tipici dell’architettura del luogo, che tuttavia apparirebbero differenti in un contesto meno sereno; affascinante attraverso una resa, anche psicologica, che oggi apparirebbe vintage.

Un’abilità non indifferente che da sempre caratterizza i grandi registi, in grado di procedere alla intrinseca identificabilità dei luoghi preferiti ed eletti secondo un sentimento direttamente percepibile, talvolta inaspettato.

Qualcosa di simile a ciò che accade nelle pellicole del regista Pupi Avati, la cui grandezza consiste anche nell’ambientare film gotici in posti impensabili come l’entroterra bolognese.

Luoghi che, per propria natura, solatii e sonnolenti, si riesce con fatica ad immaginare teatro di storie noir, eppure rimodulati e stravolti in un’ottica diversa, originalmente connotata.

Una prospettiva concreta e reale, che non fa sconti alle modeste costruzioni o alle scritte commerciali, riuscendo ad accentuarne l’autenticità tramite un cielo fisso e uniforme, incline a nobilitarne l’immagine.

Una affettuosa schiettezza di cui non si nega la conformità, ma nemmeno la creatività innovativa, ottenuta con una astuta gestione della luminosità, che permette anche di comprendere il motivo della longevità artistica di Telemaco Signorini, per cui egli, grazie a tecnica e tematiche, supera la durata stessa della ‘macchia’…

Telemaco Signorini, Piazza a Settignano, 1880 c., olio su tavola, cm. 32.8×53.1 Milano – Collezione privata
Immagine dal libro L’arte italiana, di Piero Adorno

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