Tempo irredento

DI ANTONIO MARTONE

L’uomo moderno diffida della natura e, proprio per questo, intende padroneggiarla attraverso la tecnoscienza.
Se fosse lasciata a sé stessa, è questa la convinzione assoluta dell’uomo moderno, la natura (questa eterna madre/matrigna) certamente provocherebbe la sofferenza e la morte degli uomini. Di conseguenza, occorre reagire costruendo qualcosa di artificiale che possa salvare dal pericolo naturale. Dalla nascita dello Stato, allo sviluppo della scienza sperimentale, fisica, chimica, medicina, il principio in fondo è sempre lo stesso.

Se la natura è volta verso il male, bisogna riconoscere che l’uomo stesso, tuttavia, essendo fatto di carne, dispone di un corpo naturale. L’uomo cioè, in quanto carne e corpo, cos’altro è se non natura, purissima natura, umana certo, ma pur sempre natura?

L’uomo moderno, negando la natura, accusata quest’ultima di essere “naturalmente” volta verso il male, odia inevitabilmente sé stesso. In questo senso, la modernità celebra, sebbene il termini laici, il senso più profondo della caduta nel male e nel peccato.
Questa volta, però, nel caso della modernità, non vi è, né vi può essere, alcuna redenzione: nessun patto con la divinità e nessuna grazia può venire a salvare. Le uniche speranze di “redenzione” sono affidate alla scienza e alla tecnica, ossia al dominio dell’uomo sulla natura che è come dire il dominio impossibile dell’uomo su stesso.

 

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