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“LE NOZZE DI CANA” DI JACOPO TINTORETTO
Tintoretto, pseudonimo di Jacopo Robusti, (Venezia, 1518 – Venezia, 31 maggio 1594), è stato un pittore italiano, cittadino della Repubblica di Venezia e uno dei massimi esponenti della pittura veneta e dell’arte manierista. Figlio di un tintore di seta (da cui il nome “Tintoretto”) che si era guadagnato l’appellativo di “Robusti” per aver difeso le porte di Padova durante la guerra della Lega di Cambrai, Jacopo utilizza fin da piccolo i colori che trova nel laboratorio del padre, e nel 1530 viene mandato dal padre alla bottega da Tiziano.

Lo stesso Tiziano, però, lo manda via, proprio per la sua bravura, temendo una futura concorrenza.
Per quanto riguarda la vita privata, ebbe una figlia illegittima, Marietta, da una donna straniera, poi nel 1550 sposò Faustina Episcopi, da cui ebbe altri 7 figli. Marietta, la primogenita, fu l’unica ad avere abbastanza talento da poter seguire le orme del padre.
Un padre e la figlia amatissima, il maestro e l’allieva che si è annullata in lui: una figura femminile difficile da dimenticare. Il rapporto padre-figlia è al centro del libro di Melania G. Mazzucco “La lunga attesa dell’Angelo”, di cui potrete trovare la recensione nella categoria #Recensioni di questo sito.
Tornando all’artista, una delle caratteristiche che contraddistinguono il Tintoretto è la sua tecnica pittorica.
Le tele che utilizzava, erano di lino, con differenti tessiture, sia semplici come il tabì, simile a quella del taffetà, che più robuste come la spina di pesce. La scelta della trama dipendeva dalla richiesta del committente, come ad esempio per l’Ultima Cena, nella quale Tintoretto ha utilizzato una trama grossolana, nonostante il dipinto sia visibile da una distanza ravvicinata.
Tintoretto preferiva un fondo scuro, steso sull’imprimitura a gesso o direttamente sulla tela, usando un impasto ottenuto con i residui delle tavolozze, data la presenza di particelle colorate microscopiche. Sul fondo così preparato era possibile dipingere sia i toni chiari che quelli scuri, lasciando anche trasparire il fondo stesso: questo era possibile nei casi in cui il dipinto si fosse trovato in zone buie o in ombra e contribuiva a velocizzare notevolmente l’esecuzione del dipinto.
Si racconta che l’artista era solito approntare dei piccoli “teatrini” per studiare la composizione delle opere e l’effetto delle luci.
Un esempio evidente del talento e del genio di questo artista, si può trovare nel dipinto “Le nozze di Cana”, tra l’altro uno dei miei preferiti, in quanto esprime la condivisione di un momento di gioia, grazie alla visione dell’autore, che ha interpretato a suo modo la scena raccontata nel Vangelo.
L’artista ci offre una raffigurazione personale dell’episodio che l’evangelista Giovanni racconta all’inizio del secondo capitolo del suo Vangelo: Maria viene invitata ad uno sposalizio nel paese di Cana di Galilea e, con lei, anche Gesù con alcuni dei suoi discepoli.
La grande tela (440 x 590 cm), raffigurante il racconto evangelico delle Nozze di Cana, venne realizzata dal Tintoretto per la sala del refettorio del monastero dei Crociferi, e venne completata nel 1561.
Il Tintoretto, nel realizzare questa tela così importante, decise di utilizzare una tecnica particolare che corrispondesse meglio al luogo per il quale era destinata.
La tela, di grossa fattura, venne dipinta dal maestro senza una previa preparazione cosicché il colore potesse quasi penetrare il materiale di supporto; inoltre, non usò i consueti colori ad olio ma optò per la tempera lavorata con l’uovo. Scelte inusuali che, tuttavia, donano alle “Nozze di Cana” una percezione unica, quasi a trovarsi di fronte ad un affresco.
Il Tintoretto realizzò la sua opera ambientandola in una ampia sala di un palazzo. Non era infatti inusuale che le scene evangeliche dei pranzi venissero raffigurate e ambientate in sale dall’architettura a lui contemporanea, quasi a esprimere il desiderio di una attualizzazione dell’evento nell’oggi.
Nella tela delle “Nozze di Cana” tale espediente è risultato ancora più evidente dal fatto che il salone raffigurate è quasi il naturale prosieguo della sala del refettorio nella quale i frati consumavano i pasti, e dove, nella parete di fondo, si trovava la tela.
Il risultato finale ottenuto è, dunque, quello di trasmettere a ciascuno di noi la viva sensazione di essere parte di quanto viene raffigurato.
Forse è questa la ragione per la quale il lato inferiore del lungo tavolo non è occupato da nessun invitato e mostra in tutto il suo candore la tovaglia bianca di lino: colui che contempla il quadro è invitato ad assumere la parte di uno dei commensali del banchetto di nozze imbandito dagli sposi.
Nella tela, gli sposi passano decisamente in secondo piano, messi da parte anche fisicamente, se proviamo a riconoscerli nei due personaggi seduti sul lato destro della lunga tavola, al centro della panca. Nella scelta dell’artista vi può essere anche la decisione di voler porre al centro un altro sposo, Gesù, lo Sposo Divino.
Non possiamo non notare la presenza di Maria, la Madre di Dio. Essa è stata collocata dall’artista sul fondo della tavola, alla sinistra del Signore Gesù, in qualche modo chinata a farsi tramite della richiesta di sopperire alla mancanza del vino. Colpisce la presenza imponente delle giare di pietra utilizzate per la purificazione, che occupano il primo piano della scena.
Tintoretto ha cercato di raffigurare con il genio innovatore della sua arte l’episodio in cui “Nostro Signore Gesù Cristo mutò l’acqua in vino: così ciò che prima era insipido acquista sapore, e ciò che prima non inebriava, adesso inebria”.
L’artista veneziano, inoltre, ha scelto di collocare il Signore Gesù nel centro prospettico di tutta la scena, a capotavola, in un posto significativo e centrale. Chi, come noi, si pone davanti alla tela ha come l’impressione di trovarsi dall’altra parte della mensa.
Sulla figura di Gesù seduto in fondo al lungo tavolo converge tutta l’attenzione e l’attesa degli astanti e anche di coloro, come noi, che siamo posti fisicamente di fronte alla grande tela. Essendo comunque un quadro religioso realizzato all’interno di un luogo altrettanto religioso, si percepisce il senso di preghiera e di invocazione di ognuno di noi verso la figura divina.
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Ornella Succo

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