Twenty-One ( Ventuno)

DI MARINA M. CIANCONI

 

Da quando ero ragazza avevo un modo di viaggiare che riempiva la mia fantasia: i libri. Mi interesso principalmente di vite vissute, più spesso vite di animali e di uomini e donne che hanno avuto il privilegio di entrare nel mondo di questa “gente” (come spesso li appellava Danilo Mainardi) altra da noi, per cercare di conoscerlo.

Tra le diverse storie che ho letto ce n’è una che desidero riportare che riguarda un vero Signore… un Signore tra i lupi. Il Lupo ( _Canis lupus_ ) è un animale simbolico e controverso per noi umani, con lui abbiamo condiviso gran parte della nostra esistenza su questa terra, osservandolo abbiamo imparato a cacciare, a difendere un territorio, abbiamo appreso la forza che risiede nell’unione e nella collaborazione che caratterizza il branco, ossia la sua famiglia.

Ma lo abbiamo anche terribilmente temuto e perseguitato, questo purtroppo accade ancora. Egli ci ha poi generosamente consegnato il nostro più fedele amico, il Cane ( _Canis lupus familiaris_ ) che, se ci soffermiamo ad osservarlo bene, conserva ancora comportamenti e tratti simili al suo selvatico antenato.

L’uomo che ha avuto la fortuna di vivere le vicissitudini di questa storia si chiama Rick McIntyre, un ricercatore; ha seguito ogni giorno per venticinque anni i lupi grigi di Yellowstone, i lupi più grandi del mondo. Carl Safina ci parla di lui e dei suoi lupi in una parte del meraviglioso libro “Beyond Words. What Animals Think and Feel” (“Al di là delle parole. Che cosa pensano e provano gli animali”). E ci racconta così di un cucciolo davvero speciale…

Nel Parco dello Yellowstone i lupi grigi vennero sterminati dalla caccia negli anni venti del secolo scorso e per diversi decenni Yellowstone non accolse più un solo esemplare di lupo nelle sue terre, ciò provocò degli squilibri importanti nell’ecosistema, inevitabili quando vengono a mancare gli animali al vertice della catena alimentare, come i grandi carnivori.

Così, diversi decenni dopo, si decise di reintrodurre nel Parco 14 lupi provenienti dal Canada. Una di queste coppie di lupi diede alla luce un cucciolo con un’indole davvero singolare. Purtroppo suo padre venne ucciso poco prima che il cucciolo nascesse. La madre con tutta la cucciolata venne presa dai ricercatori e portata in un luogo sicuro dove poter crescere i cuccioli insieme ad un padre adottivo.

I lupi temono da sempre l’uomo, ma questo cucciolotto si dimostrò fin da subito impavido e all’ora del pasto si faceva avanti verso gli umani senza alcun timore. Venne chiamato Twenty-one (21), dal numero che riportava il suo radiocollare. Era un lupo dal manto nero. All’età di due anni e mezzo Twenty-one lasciò la famiglia in cui era nato ed entrò a far parte del branco di Druid Peak, il cui maschio alfa era stato da poco ucciso dall’uomo.

Druid Peak era destinato a divenire, sotto la guida di Twenty-one, il branco più numeroso degli Stati Uniti con trentasette lupi, forse il più grande del mondo.

Generalmente all’interno di un branco c’è un’unica femmina alfa che dà alla luce i cuccioli, ma Twenty-one arrivò ad avere anche 20 cuccioli contemporaneamente con ben tre femmine. Twenty-one era grande, forte, agile, ma soprattutto era un vero capo. McIntyre racconta di averlo visto lottare anche contro più lupi; non perse mai una lotta e non uccise mai un lupo sconfitto.

Era inoltre caratterizzato da una grande gentilezza verso i componenti della sua famiglia e soprattutto verso i cuccioli, con i quali amava giocare e fingere di farsi sopraffare da loro… che intelligenza! Insegnare a un cucciolo cosa si prova a sopraffare qualcuno più grande di te, significa insegnargli l’arte di sopravvivere nel mondo dei lupi adulti.

Quando era più giovane nel suo branco natio c’era un cucciolo che non si comportava in maniera normale, nessuno interagiva con lui, ma Twenty-one lo cercò e cominciò a frequentarlo e a passarci del tempo insieme.

Una forma di empatia, di compassione verso questo sfortunato cucciolo o forse Twenty-one non percepiva l’handicap come una minaccia? Una volta, racconta McIntyre, un lupo estraneo che iniziò ad insidiare le sue figlie, venne quasi ucciso dal suo branco, ma Twenty-one gli salvò la vita, fermando il branco proprio quando era lì lì per ucciderlo.

Si dimostrò indulgente, magnanimo. I lupi sanno dunque essere magnanimi? E per quale motivo in caso? La magnanimità contravviene ad una legge naturale per la quale la grande maggioranza dei lupi viene uccisa dagli avversari.

In natura sopravvivere è durissimo e i branchi di lupi si contendono i territori e con essi le prede che vi sono presenti. Tra i carnivori funziona così. E arrivano ad uccidersi quando c’è una competizione per le risorse, soprattutto se sono scarse. Twenty-one tuttavia aveva la sua forza nell’autocontrollo, che avvalorava il suo status, e in ciò che io definirei “saggezza”. Quel lupo a cui salvò la vita divenne a sua volta capo di un nuovo branco in cui passarono alcuni dei figli di Twenty-one.

Attraverso quel nuovo branco continuò la sua discendenza, quando il lupo da lui salvato venne ucciso; i geni di Twenty-one vennero così trasmessi a nuove generazioni. Cosa aveva percepito Twenty-one quando impedì la morte di quel lupo? Non lo sapremo mai, ma l’evoluzione in quell’attimo aveva già guardato avanti.

Un giorno mentre il suo branco dava la caccia ad un wapity, Twenty-one si alzò, guardò la sua famiglia e si diresse dalla parte opposta alla loro tana, allontanandosi da solo.

Il suo corpo venne ritrovato casualmente da un visitatore del Parco. Twenty-one era salito sulla montagna, in uno dei luoghi preferiti di rendez-vous in cui per anni aveva portato il suo branco e all’ombra di un grande albero si era addormentato per sempre. Aveva nove anni. Forse aveva sentito che era arrivata la sua fine. Fu uno dei pochi lupi di Yellowstone a morire di vecchiaia.
Circa un anno fa, l’amministrazione Trump negli Stati Uniti, dopo 45 anni di tutela, ha abolito la protezione riservata ai lupi grigi aprendone la caccia legale.

È notizia recente secondo cui sembra che i lupi grigi potrebbero tornare ad essere specie protetta in seguito agli elevati tassi di mortalità riscontrati a causa dell’uomo.

Mi auguro che questo grande predatore, a cui somigliamo per tanti aspetti ma da cui siamo così diversi nel suo essere un tutt’uno con le terre selvagge che lo vedono nascere, sia sempre più tutelato e amato, quindi compreso nella sua essenza vitale ed ecologica. In poche parole, lasciamo che viva.
Ho avuto il raro dono di vedere il lupo. Ma basta poco per percepirlo anche in qualcun altro.

A volte quando io e la mia “lupa dal muso di cane” ci guardiamo, non abbiamo bisogno di parole, e allora penso che quella capacità ancestrale che i lupi hanno di comunicare tra loro anche solo attraverso un fugace sguardo, sia in qualche modo arrivata a me attraverso lei facendomi provare, anche se per brevi momenti, quel senso di appartenenza a quel mondo ancora così selvaggio fatto di altri linguaggi e capacità di sentire diversi, da cui l’uomo si è allontanato da tempo.

Io non so che darei per provare, almeno una volta nella vita, quell’insieme di sensazioni con le quali un lupo percepisce il mondo selvatico attorno a sé, quell’esserne talmente parte da saperlo leggere con un’acutezza di sensi ed intelligenza selvaggia che noi non ricordiamo più di aver avuto.

La storia di Twenty-one è la storia di un “individuo” e, come dice Carl Safina: _“Gli individui contano. Un lupo non è un “it” – un «esso», un oggetto; ma un “who” – un «chi», un soggetto”._ E come tale i suoi tratti, le caratteristiche, le sue capacità, il bagaglio di esperienze, il suo sentire e la sua intelligenza ne fanno un “qualcuno” diverso da tutti gli altri, proprio come accade per ciascuno di noi; come accade per ogni animale.

Immagine free (Pexel)

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