Un alchimista dell’animo: Hieronymus Bosch

DI ANTONIO MARTONE

 

È noto a tutti: l’arte autentica è universale e indifferente alle mode. In essa, infatti, non può mancare l’elemento della visionarietà: l’artista allunga lo sguardo per vedere “oltre” nel mistero del mondo.

Più che in altri casi, una definizione di questo tipo calza “a pennello” quando si parla dell’opera di Hieronymus Bosch: a mio parere, l’artista più grande e significativo del suo tempo, vissuto a cavallo fra quattrocento e cinquecento.

Ben prima che la modernità organizzasse le sue Colonne d’Ercole a difesa della razionalità, e che la natura diventasse un oggetto da descrivere e da sfruttare, e pure largamente prima della psicoanalisi, Bosch aveva visto invece nella natura stessa un elemento di assoluto disordine.

La fantasia non imitativa, bensì creatrice, di questo genio dell’arte di ogni tempo aveva popolato il mondo di immagini innumerevoli e terribili. Si può dire che mai, in pittura o altrove, lo sguardo dell’uomo si fosse tanto sbizarrito nel ricoprire iconograficamente l’infinita gamma di possibilità espressive presenti nello spazio vuoto fra antropomorfia, zoomorfia e forme meramente fantastiche.

Bosch non vedeva affatto l’esterno dell’uomo. Egli non era interessato a dipingere l’umanità così come essa stessa si presentava. L’immaginazione dell’artista preferiva piuttosto disvelare l’interno dell’essere umano, con le sue passioni profonde, i suoi vizi, le sue patologie inconfessabili, e renderle cosi manifeste.

In tal modo, questo grande enciclopedico della natura umana ci ha lasciato una campionatura pressoché interminabile di ciò che la natura in generale e quella dell’uomo in particolare può mostrare quando la si sa osservare nel profondo.

Non è mai esistito per Bosch una tripartizione puntuale fra regni: inferno, purgatorio e paradiso. Al di là di ogni giustapposizione astratta, il grande artista, molto amato peraltro da Filippo ll di Spagna, assisteva quotidianamente, come solo i grandi visionari sanno fare, allo svanire nel vuoto della realtà consolidata dall’abitudine. Dallo stesso vuoto, come un prestigiatore di magica bravura, Bosch traeva poi tutto un mondo abitato da morfologie molteplici.

Egli aveva ben compreso che i livelli di realtà sono stratificati e diversi: il compito dell’arte consiste allora, giustappunto, nel render conto del vuoto originario – della fragilità dell’umano e dell’assoluta plasticità delle passioni – nel quale, da sempre e per sempre, è immerso il cosiddetto “reale”.

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