E’ passato un anno dalla morte di Franco Battiato. Un gigante della musica. Un genio assoluto. Per decenni ha ‘danzato col tempo, come un filo d’erba’, intrecciando sogni culture e linguaggi, portandoci, con la sua musica, in quei mondi sconosciuti e misteriosi ma sempre affascinanti.
Definirlo semplicemente cantautore significa fare torto alla sua arte: è stato compositore, arrangiatore, musicista a 360° gradi, regista e pittore.
Ha cantato l’amore, i sentimenti, la sua visione onirica della vita. Ha sperimentato e amalgamato diversi generi musicali spaziando nel tempo e nelle culture come solo lui sapeva fare. Colto, visionario, mistico, melodico, Battiato ha rappresentato per decenni qualcosa di unico nella musica italiana. Non è superfluo né retorico dire che la sua scomparsa lascia un grande vuoto nel panorama musicale e culturale italiano e internazionale.
Vasta e imponente la sua discografia, ‘La cura’ è uno dei suoi successi maggiori, il cui testo e stato considerato dai critici il più bello e commovente di tutta la canzone italiana. Il tema centrale della canzone è il tempo e il fatto che tutto, anche le relazioni umane, siano condizionate da questo fattore. Indimenticabile l’album ‘Centro di gravità permanente’ che gli ha dato la popolarità, pubblicato nel 1981, da cui sono stati tratti diversi singoli tutti di grande impatto e successo. Un testo che a prima vista appare visionario e strampalato ma che racconta il senso di smarrimento che lo attraversa e della necessità di trovare un punto stabile.
Un vuoto incolmabile la sua scomparsa.
Molti gli eventi in programma per omaggiarne la memoria. Dalla dedica in prima serata di Rai 1 col film ‘Il coraggio di essere Franco’ attraverso il quale il regista Angelo Bozzolini ripercorre la vita e la carriera dell’artista siciliano, alla intitolazione del lungomare di Catania che porterà il suo nome. Cinque giorni per esplorarne tutti i contesti artistici che lo hanno visto protagonista è invece l’evento-clou che Milo, la sua città natale, ha programmato dal 18 al 22 maggio per rendere omaggio al loro indimenticato concittadino.
‘Che cosa resterà di me, del transito terrestre’?, si domandava in ‘Mesopotamia’, splendido album scritto nel lontano 1988. Scontata quanto doverosa la risposta: ci resta tutto. Il pensiero libero, quell’intreccio di culture a lui tanto caro, il coraggio di sperimentare, innovare, conoscere.
Ma soprattutto ci resta la sua musica a fare da colonna sonora a questi tempi incerti, pregni di grandi preoccupazioni. Tempi a cui il Maestro non lesinava critiche spietate ma il grande desiderio di sperare in un cambiamento affinché ‘il mondo torni a quote più normali’. Anche se ‘intanto la primavera tarda ad arrivare’.
Il testo che segue è di un’attualità sconvolgente (come tutte le sue canzoni).
Povera patria
Schiacciata dagli abusi del potere
Di gente infame, che non sa cos’è il pudore
Si credono potenti e gli va bene quello che fanno
E tutto gli appartiene
Tra i governanti
Quanti perfetti e inutili buffoni
Questo paese devastato dal dolore
Ma non vi danno un po’ di dispiacere
Quei corpi in terra senza più calore?
Non cambierà, non cambierà
No cambierà, forse cambierà
Ma come scusare
Le iene negli stadi e quelle dei giornali?
Nel fango affonda lo stivale dei maiali
Me ne vergogno un poco e mi fa male
Vedere un uomo come un animale
Non cambierà, non cambierà
Sì che cambierà, vedrai che cambierà
Si può sperare
Che il mondo torni a quote più normali
Che possa contemplare il cielo e i fiori
Che non si parli più di dittature
Se avremo ancora un po’ da vivere
La primavera intanto tarda ad arrivare
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