DI GIOVANNI BOGANI
Il film che la Francia ha candidato agli Oscar è un film d’esordio, diretto da un italiano. Il suo film non è neppure passato da Cannes o da Venezia, ma da Toronto e dalla festa del cinema di Roma. Insomma, una storia che meritava probabilmente qualche indagine in più. E allora sono arrivato al suo numero di telefono. Qui sotto il resto.
Il film che il paese cinematograficamente più importante d’Europa ha candidato agli Oscar è un film diretto da un italiano. Un italiano quasi del tutto sconosciuto in Italia: e poco anche in Francia, perché questo è il suo film d’esordio.
Si chiama Filippo Meneghetti, ha quarant’anni, è nato ad Abano Terme. A diciott’anni, con il cinema già in testa, se n’è andato a New York, a fare il cameriere e “a vedere com’è il mondo”. È tornato, si è laureato in antropologia alla Sapienza di Roma, ha diretto alcuni corti. È approdato in Francia, dove vive da nove anni.
Il suo film, “Deux”, due, racconta un amore romantico, segreto e scandalosamente carnale fra due donne, due donne di settant’anni, interpretate da Barbara Sukowa, icona del cinema d’autore tedesco, e da Martine Chevallier, membro della Comédie Française.
Il film ha avuto un lungo e fortunato cammino nei festival internazionali: da quello di Toronto, fondamentale per le selezioni degli Oscar, alla Festa del cinema di Roma. Sarà distribuito al cinema in Italia da Teodora film, quando l’emergenza covid lo permetterà.
Raggiungiamo Filippo Meneghetti al telefono. E’ nei pressi di Marsiglia. In isolamento, come tutta la Francia. Ma da lì, dice, si vede il mare.
Ci racconti la sua storia. I luoghi della sua crescita professionale.
“Sono cresciuto in Veneto: a diciott’anni, subito dopo il diploma, sono andato a New York. Sono tornato in Italia per studiare antropologia e cinema: ho realizzato alcuni cortometraggi in Italia, e poi sono finito in Francia. Ma per ragioni del tutto personali. Non mi definirei un ‘cervello in fuga’. È vero, però, che in Francia ho trovato un sistema che mi ha sostenuto e finanziato”.
È stato un lavoro lungo, mettere in piedi il film?
“Sei anni, dalla prima idea al film finito”.
“Deux” racconta due aspetti “scandalosi” dell’amore: l’amore fra due donne, e l’amore anche fisico fra settantenni. Qual è il tabù più radicato?
“L’ho capito cercando i soldi per il film: è stato di gran lunga più ostico far accettare l’età delle protagoniste. C’è, nella nostra società, questa idea della bellezza, della gioventù da mantenere a ogni costo: il corpo come feticcio assoluto. Un’idea difficile da superare”.
Il suo film affronta questo tema con coraggio.
“Sentivo la responsabilità di raccontare che una donna a settant’anni può essere affascinante e sensuale. Che ci si può voler toccare, anche se i corpi non sono belli e lucenti”.
Come ha scelto le due protagoniste?
“Barbara Sukowa è una leggenda del cinema d’autore: ha lavorato con Fassbinder e con la Von Trotta, ha ricevuto innumerevoli premi. Per l’altro personaggio volevo un volto non troppo noto: ho proposto il ruolo a Martine Chevallier, che è un mito del teatro francese. Non sapevo ancora che era stata sposata ad August Coppola, il fratello di Francis, il padre di Nicolas Cage. Durante la lavorazione mi ha raccontato aneddoti incredibili su questa grande famiglia”.
Ha filmato dei primi piani coraggiosi.
“Ho detto loro: vi filmerò in primo piano, senza trucco. Si vedranno le rughe. Vi va o non vi va? Si sono fidate”.
Un legame amoroso, anche se di lunga durata, diventa di colpo “invisibile”. La figlia, il figlio, l’ospedale non vedono questo legame, lo cancellano.
“Ma in realtà, il film parla della nostra autocensura. Siamo noi che diventiamo vittime del nostro stesso sguardo. Il film parla delle censure invisibili che ci abitano tutti, determinate da quello che la famiglia e la società ci insegnano a vedere come giusto o sbagliato”.
Ha scelto una canzone italiana melodica, a suggello del film.
“Sì: è ‘Chariot’, cantata da Betty Curtis nel 1972. Non volevo ‘dire’ le cose importanti attraverso i dialoghi: mi sembrava più interessante che una canzone dicesse le parole che i personaggi non si dicono mai, che non riescono a dirsi”.
E ora? Come vivrà la corsa verso gli Oscar?
“Purtroppo, da casa, per ora. Lunedì ho una conferenza al MoMA di New York: la farò su Zoom. Quanto avrei voluto andarci!”.
Da www.quotidiano.net
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