Un Natale diverso

DI GIOVANNI BOGANI

Quest’anno sarà un Natale diverso. O forse no, perché alla fine ognuno troverà il modo di farla franca,  di andare dove vuole, di uscire dal comune, di raggiungere i parenti, di fare festa, tanto mica ti vengono a controllare a casa.

E di sputare veleno contro il governo, che ti ruba la settimana bianca, il Natale, l’aperitivo. Non lo so. A me sembra che sia il virus che ci ruba le persone.

Ne già rubate tante. È il virus che mi ha rubato un anno di vita, e quella poca tranquillità che avevo, di uscire, di andare ad annusare un po’ la vita qua e là.

Non riesco a pensare a niente. Se non alle persone che conosco, e che saranno sole in questo Natale, come in quelli precedenti.

Penso che ci sarebbe tanto da fare, invece di andare a fare la settimana bianca, ma che non ho il coraggio di farlo. Ci sarebbe da fare qualcosa per chi è negli ospedali, o anche solo per chi è in quarantena a casa, con un tampone positivo. Invece no: si pensa alla settimana bianca.

Per me Natale è stato sempre un giorno di solitudine. Anche quando avevo una ragazza, che quasi sempre tornava a casa, dai genitori, in un’altra città.

Nei centri commerciali non ci sono mai andato: non avevo da fare tanti regali. L’unico regalo che mi concedevo era una agenda Moleskine, dove avrei scritto tutto quello che facevo, giorno per giorno.

Ma la compravo sempre quando l’anno era iniziato già: per scaramanzia, non la compravo mai prima.

Natale, come Pasqua, come Ferragosto, è sempre stato uno dei giorni più duri. Il silenzio, fuori in strada, ti piombava addosso come un veleno.

Il silenzio delle strade ti soffocava. Nessuno in giro, quando all’ora di pranzo andavo da te.

Dopo il pranzo, prendevo lo scooter. Se non pioveva, andavo a fare un giro. Il mio regalo di Natale a me stesso. Prima, quel giro lo facevo in bicicletta.

Un pomeriggio di Natale, scendendo giù da un cavalcavia, la ruota della bicicletta si era infilata in una scanalatura dell’asfalto, ed ero finito in terra, le mani e le ginocchia sbucciate, la bicicletta con il manubrio da riassestare.

Altre volte, la sera prima, ero andato in Duomo, a vedere la gente, le candele, ad ammirare lo spettacolo di una comunità che ci crede. Quel miracolo che si rinnova, dai tempi delle catacombe, di centinaia di persone che si stringono attorno a una speranza.

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