Un viaggio nei ricordi: quel gettone telefonico

DI FRANCO FRONZOLI

Quanti ricordi fa venire in mente questo gettone telefonico. Mi inoltro nella differenza tra lui ( il gettone ) e l’iPhone di oggi, che in un nano secondo, ti mette in collegamento con il mondo e se vuoi vedere l’interlocutore in faccia basta inoltrare la videochiamata.

Certo la tecnologia offre l’ istantaneità, la velocità di collegamento, l’sms che preannuncia ogni circostanza da comunicare.

Abbiamo tutto in rete, come si suol dire, manca il contatto, anch’esso importante o forse, azzardo, fondamentale.

Quando mi trovavo a Velletri, primo anno di Accademia sottufficiali, dopo aver superato la rivista ( non sempre ci si riusciva ), mi portavo dietro un sacchetto di quei gettoni.

Dal ristorante in cui mi recavo ( cena-pranzo completo 1.500 lire ), facevo quella che chiamavo avviso di “ richiamata “ .

Mi mettevo in contatto con il posto pubblico del mio paese, chiedevo di avvisare i miei genitori che avrei richiamato dopo circa 30 minuti.

Nell’ attesa: un aperitivo leggero a poche lire, il proseguimento della lettura di un libro e poi, scoccata la mezz’ora, volte aspettavo qualche minuto in più, ecco che mi mettevo in contatto con mio padre e mia madre.

Ogni qualche secondo, si sentiva il rumore del gettone in caduta libera, e mentre parlavo ricaricavo con qualche altro gettone.

Per questioni economiche la telefonata non durava molto, ma riuscivo a dir loro quello che dovevo, tranne che mi mandassero dei soldi, perché sapevo gestire quelli che passava il convento.

Poi, più che soddisfatto, mi mettevo a sedere al fianco dei soliti amici colleghi e il pranzo o la cena, faceva dimenticare, anche se per poco, la vita da “ caserma “.

Uscire, comunque non era facile, soprattutto quando c’era un certo tenente, che penso, avesse avuto un’ infanzia difficile.

Ma non essendo mai stato uno che cedeva facilmente, raggiungevo ( non ero solo ), una parte della perimetria della Scuola, e si “ scavalcava, aiutandoci tra noi.

Un azzardo che sarebbe costato caro, ma la libertà anche se limitata nel tempo era più importante.

Al ristorante con i colleghi, si parlava, si rideva, non mancava qualche “ scherzetto “ ed a volte, si intonava l’inno di Mameli, durante il quale guardavamo il titolare del ristorante mettersi in piedi con la mano al cuore.

Noi, in piedi, penso più per coinvolgere gli avventori mettevamo la mano sulla visiera, testa alta e rallentavamo il canto per vedere la reazione della gente.

Non tutti si alzavano in piedi, C’era però un collega, con la faccia di bronzo, che si avvicinava e faceva un cenno con la mano per invitarli ad alzarsi.

Capitava raramente questa “ scenetta “ ben studiata e prima di procedere, lo comunicavamo al proprietario del ristorante, che stava al gioco.

Ricordo che una volta, purtroppo soltanto una, salì su una sedia e se mise a cantare l’inno. Era stonato.

Adesso le cose sono cambiate e se in peggio o in meglio, non lo so e non lo voglio sapere.

Ricordo che eravamo un gruppetto appartenenti alle quattro compagnie e che studiavamo dei sistemi per “ divertirci “ .

Una volta negarono di farci assistere ad una partita di calcio della nazionale che ci “ costrinse “ ad una “ rivoluzione “ con lancio di carta igienica dalle finestre.

Poi, io, che ero dotato  già allora di fantasia,  prima dell’ ispezione alle armi  mettevo il mio “ fucile “ 91/38 , al posto di un collega.

Mi ritrovavo il fucile pulito e brillante. Erano degli scherzi idioti, ma ci si divertiva.

Oggi è tutto artificiale, ma quelle risate, spesso sguaiate, non le vedo fare da tempo immemore

Immagine tratta dal web

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