Una meta sognata, una vita ripercorsa

di Flora Crosara

Questa mattina ho raccolto lo sconforto di una amica di scrittura che non si sente abbastanza apprezzata dai suoi affetti più cari, per le pagine che scrive e pubblica. Ho tentato di consolarla – se mai ce ne fosse stato bisogno, ma non credo. Lei scrive benissimo…e quando dico “benissimo” davvero non esagero, credetemi – suggerendole di scrivere per sé, memore della mia esperienza personale. Non so se ci sono riuscita, ma tant’è.
In questo lungo tempo di pandemia, di DAD e impegni vari io ho perso un po’ l’ispirazione. Questo mi fa soffrire.
Allora, da grande appassionata di scrittura e convinta che scrivere sia benefico e anche un poco terapeutico per l’anima, riparto da qui… e faccio alcune confidenze con l’idea di dedicarle a me e a chi ama questa bella arte. Dunque, ascoltate: a me è andata così…

Il percorso che mi portato a scrivere e pubblicare un libro è stato molto lungo e a tratti anche non facile. Ma era il mio sogno nel cassetto. Quando lo pensavo e cercavo di visualizzarlo, quel libro, ero convinta che avrei scritto un romanzo, magari d’amore, di quelli che piacciono tanto a noi donne: quelli che hanno un bel finale.
Non è accaduto nulla di tutto questo. O meglio: non è nato un romanzo ma una raccolta di racconti – in parte autobiografici, in parte di fantasia – che di amore sono colmi. Amore in tutte le sue vesti, in ogni sua sfaccettatura.
Il perché non sia nato un romanzo credo sia dipeso dal fatto che io già possedevo molte pagine di diario: raccolte nel tempo, per lunghi anni. Da ragazza, da adolescente, da giovane donna, da donna matura. Erano davvero molte quelle righe, pagine fitte fitte, che narravano di momenti delicati, forti, tristi, di gioia, di dolore, di attesa e di sorpresa, di conquista. Una miscellanea di fatti, un miscuglio di sentimenti: insomma quelli di tanti momenti di vita, intimi, come accade a ognuno.
Le pagine narrate rimasero là, per un lungo periodo. Erano state un po’ abbandonate, perché gli impegni di lavoro e di famiglia non mi permettevano di occuparmene come realmente avrei voluto. Scrivevo e raccoglievo. Non davo loro molta importanza, anche se importanti lo erano…davvero! Così trattate, non trovarono mai una precisa collocazione. Sì, il diario, d’accordo …ma era uno sfogo personale, nulla più. Mi rimanevano pensieri scritti su carta, raccolti dentro un quaderno: bello, con la copertina colorata, fluorescente e luccicante, tutto molto d’impatto: dall’esterno un gran bel colpo d’occhio. All’interno però rimaneva qualcosa di molto privato che, ad un tratto, non si bastò : scalpitava e chiedeva di uscire. Ma io non ero pronta.
Non lo sapevo ma quelle pagine erano già racconti. Parlavano di donne e delle loro giornate vissute con intensità. Erano persone che mi circondavano, vivevano o avevano vissuto con me, accanto a me, condividendo la quotidianità e non solo. Di certo la maggior parte di quelle storie narrava di momenti particolari, eventi, fatti di un indiscusso colore: quelli che colpiscono e rimangono impressi nella mente. Però ad essi io non avevo partecipato in modo diretto: piuttosto ero stata spettatrice, attenta e carpita ma spettatrice, più che protagonista. Descrivevano di sicuro qualcosa di particolare ma io non lo avevo sperimentato in prima persona. Tuttavia emozioni, sentimenti e reazioni si erano impressi nella mia memoria. Era come se fossi stata a teatro e mi fossi lasciata avvolgere dalle storie delle persone che erano sulla scena: solo che si trattava della mia vita. Più rileggevo e più mi rendevo conto di quanto mi avessero colpito certi fatti, certi episodi: ho preso coscienza di quanto i gesti, le azioni e le parole si fossero impressi in me. A soprattutto di quanto, ad un tratto, sentissi necessità di parlarne. Li avevo fatti miei, reagendo anche quando non proferivo parola, ma rimanevo a guardare: avevo risposto a uno stimolo, dentro di me, e ora ero padrona di quei fatti. Volevo ridar loro vita.
Mi avevano così tanto colpito che non avrei potuto rimanere indifferente: era qualcosa che avevo impresso dentro, qualcosa su cui sentivo di dover riflettere, a volte anche intervenire per fare sentire il mio disaccordo, la mia rabbia o per contro la mia gioia, la mia fierezza, il mio orgoglio. E, se il più delle volte nella situazione reale non mi era stato possibile esprimermi, ora potevo farlo. Allora ero solo una bimba o una giovinetta e il mio parere non contava, non veniva preso in considerazione: ora, donna, so che si trattava per lo più di questo.
E forse è il motivo per cui ho sentito il bisogno di eternarli, socializzandoli, tutti quei fatti. Raccontare di me e delle donne ( e anche di alcuni degli uomini) che mi sono vissute accanto, con le quali ho condiviso parte del mio cammino poteva solo farmi bene.
Poi riordinando i miei pensieri, ho avvertito una difficoltà: era molto difficile non autocensurarmi. Ma non potevo rinunciare a parlare della vita che aveva pulsato accanto a me, intorno a me: quella di chi aveva sofferto, lottato, conquistato vittorie. Allora ho deciso di vestire delle mie storie, tante donne. Ad ognuna ho regalato un nome, ho messo il vestito che mi pareva più idoneo e l’ho fatta diventare protagonista assoluta: di un tempo lontano o recente vissuto, di un sentimento percepito, di un volo libero che per troppo tempo era rimasto prigioniero. Poi l’incontro con un Maestro di Scrittura dalla grande sensibilità e nobiltà interiore, con un editore donna (chi meglio di una donna poteva comprendere il mio intento) … e i giochi si sono concretizzati: è nato il mio libro. Anche lui, come me, ha avuto natali non semplici. Più arresti, spostamenti di date, qualche ostacolo da superare.
Ora lo tengo fra le mani, ne accarezzo la copertina morbida e lo sfoglio…ci stiamo conoscendo, io e lui, con la certezza che lui, mentre lo rileggerò, avrà ancora molte cose da insegnarmi. E allora gli esprimo gratitudine.

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