Ero un ragazzo, anche se avevo acquisito una certa autonomia di movimento, di pensiero, sempre seguendo i consigli di mio padre Luigi.
Partii la mattina presto, percorsi una mulattiera chiamata “ Roviola “ , mi fermai a rileggere quello che c’era scritto su una Madonna di pietra, posta sulla strada che recita : O passegger che vai per questa via non ti scordar di salutar Maria “ .
Una sosta dovuta, una meditazione e per chi ne aveva voglia, una preghiera.
Era una mulattiera, curata e pulita, allora, con tanti castagni, tanti fiori ed un invaso che raccoglieva l’acqua sorgiva.
In estate, gruppi di appassionati la percorrevano a dorso di cavallo e qualcuno di mulo.
Dopo circa mezz’ora di cammino, sempre costantemente in salita, sbucai sulla strada principale, con la visione del mitico campanile chiamato “ Campanile dei Boschi “ .
Una struttura antica come la chiesa e tutto ciò che gli girava intorno, compreso lo spazio deputato ai giochi che si tenevano il 28 agosto di ogni anno, festa del Patrono “ Sant’Agostino “ .
Raggiunsi dopo circa quindici minuti la casa della mia nonna putativa, che chiamavamo “ nonna Peppa “ .
Il solito tripudio di abbracci e baci, con alcune delle dieci zie che facevano da contorno: latte fresco proveniente da due mucche di mia zia Iole, poco distante, qualche biscotto fatto religiosamente in casa.
Ero esuberante, ma volevo un bene infinito a tutte quelle donne, ed in particolare a mia nonna, che adottò mio padre , “ venerato “ da tutte le sorelle e madre.
Qualche corsetta su per il “ pianaccio “ , una gobba di terreno, che portava alla casa di mia zia Iole.
Sul Pianaccio, vi racconto una storia vera, che viene ripetuta durante le riunioni conviviali.
Un uomo, contadino e grande lavoratore, per fare studiare il figlio a Bologna, vendette quella ampia posizione di terreno.
Abbrevio per comodità.
Un giorno, il figlio di ritorno dalle scuola bolognese, interpellò il padre con questa frase : “ Papà , ma quella luna , è identica a quella che si vede a Bologna, sembrano eguali “ .
Il padre, ascoltata quella eresia, si mise le mani nei capelli e affermò : Bello al me pianaccio “ .
Fatto ripeto vero, a cui è stato dato un significato a volte diverso, quello più gettonato: non tutti i sacrifici vanno a buon fine.
Torno a mia zia Iole.
“Franco mangi qua che ti faccio i tortelli”, cosa che avveniva sempre, quando potevo far loro visita.
I tortelli, per chi non lo sapesse, sono confezionate con pasta e ricotta al suo interno, ma erano così grandi che venivano chiamati, in gergo dialettico di Boschi , gli “ Arbaltoni “ .
Anche questo termine ha una sua “ leggenda “ che per questione di tempo e spazio racconterò un’altra volta.
Sempre come rito, prima che ripartissi per il rientro, mia nonna mi preparava 12 uova con la solita frase : portale al “ me Gì “ .
Portale al mio Luigi, mio padre.
Non nascondo che durante il tragitto, il numero diminuiva di due, in pratica partivo con dodici uova e tornavo a casa con dieci.
Era una vita all’aria aperta, senza timori, che si affrontava, quando si poteva, con il sorriso sulle labbra.
Dimenticavo che al ritorno , si consumava la solita piccola sosta : “ O passegger che vai per questa via, non ti scordar di salutar Maria “…
Immagine tratta dal web
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