Un’amara realtà

DI MARIALUISA VILLA

Questa mattina, nel mio giorno di riposo, dopo aver fatto le pulizie, ho pranzato e mi sono poi seduta sul terrazzino per fumare una sigaretta, complice un tiepido sole ragalatoci da quest’autunno anomalo.

Di fronte a casa mia c’è una villetta a due piani, e da qualche giorno è stata montata un’impalcatura per il rifacimento del tetto. Sulla sommità c’erano due operai che lavoravano ai quali se n’è aggiunto un terzo, giunto proprio mentre io mi trovavo sul balcone.

Era un uomo di età sicuramente superiore ai sessant’anni. Ha raggiunto i suoi colleghi lentamente, salendo tramite le scalinate a pioli fissate all’impalcatura, procedendo lentamente e con andatura prudente, reggendosi saldamente alle impugnature.

Avanzava a fatica, con i pesanti indumenti da lavoro per lavorare all’aperto poi, raggiunta la cima è salito sul tetto e ha iniziato il suo lavoro, muovendosi in quel contesto di pericolosa inclinazione dovuta alla conformazione a spiovente della copertura.

Ha cominciato a spostare pesanti pannelli, a fare leva con un palanchino per staccare parti incrostate dal tempo e dalle intemperie, camminando su quel tetto sfidando l’altezza e l’età.
Ho provato un misto di pietà e di indignazione, per quell’uomo attempato che, per le leggi assurde impostaci da persone che il lavoro fisico non lo conoscono neppure da lontano, si trova costretto a continuare a svolgere un lavoro impegnativo e pericoloso, in un momento in cui dovrebbe trovarsi in una condizione ben diversa.

Un uomo di quell’età, dovrebbe avere la possibilità di decidere di non esporsi a una fatica così e a un pericolo dovuto all’altitudine, seppur protetto dalle barriere di sicurezza. Un uomo di quell’età dovrebbe poter decidere, al mattino quando si alza, di andare a fare colazione in riva al mare, o di andare a pescare insieme a un amico, o di mettersi a dipingere un quadro se ne ha la passione.

Oppure di organizzare la gita con il nipotino nel fine settimana, o un fuori porta con la moglie o un giro in bici fino al lago. Oppure leggersi un libro sul divano o andare a iscriversi a un corso di samba!

Dopo una vita di lavoro un uomo, o una donna, ha il DIRITTO, di godere delle piccole gioie della vita senza dover attendere di essere troppo vecchio per poterlo fare o, ancora peggio, di dover rinunciare ad esse perché il destino decida per lui che il suo tempo è terminato.

Ma no, questo non è fattibile, perché chi ha deciso, piangendo lacrime di plastica in diretta TV, che ‘sono necessari sacrifici”, ritiene che sia giusto che alcuni possano esercitare tale diritto anche con un minimo di anni di lavoro e con entrate stratosferiche, mentre altri comuni mortali debbano arrancare e strisciare fino allo sfinimento prima di raggiungere tale obbiettivo.

E poi, se muore prima, tanto meglio. Soldi risparmiati. Che amarezza, che sensazione di repulsione nauseante per questo sistema in cui viviamo!

Dov’è la giustizia?
Non la vedo.
Neppure da lontano.

Immagine tratta da Pixabay

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