Un’amicizia di tanti anni fa

DI ORNELLA SUCCO

Scrivere una storia: sembra facile scrivere e invece la paura di essere banali o sfacciati, trasgressivi o scontati, sempliciotti o complicati, confusionari o noiosi mi blocca quasi sempre sul limitare della pagina bianca.

Comunque oggi ci provo e vi parlo di un’amicizia lontanissima nel tempo ma ancora viva quando, una volta ogni due o tre anni, io ed Ausilia riusciamo ad incontrarci per bere insieme un caffè.

Ausilia, che conobbi come compagna di scuola al primo anno delle superiori, era la sesta o forse settima figlia di una famiglia piemontese del secolo scorso, di quelle che non ponevano limiti alla Provvidenza divina, non utilizzavano sistemi anticoncezionali e pensavano che dove crescono due figli possono crescerne tre, quattro, cinque e così via, tanto che dopo di lei arrivarono ancora due fratelli ed una sorellina senza che la cosa sembrasse strana o problematica ai suoi genitori.

Il suo papà gestiva un negozietto di commestibili sito in un quartiere popolare della città, la moglie lo aiutava in negozio quando non era impegnata con i figli neonati e in casa loro c’era una specie di organizzazione cooperativa in cui, a turno, tutti i figli di età superiore ai sei anni avevano qualche compito preciso da svolgere e potevano scambiarselo ma non scansarlo perché, ovviamente, vivere in dodici in un alloggio, per quanto grande, comporta dei meccanismi di gestione che devono funzionare con una precisione cronometrica altrimenti s’inceppa tutto.

Così, quando la conobbi, Ausilia era quella che aveva il compito di alzarsi alle 6,30 per utilizzare uno dei due bagni di casa entro e non oltre le 6,50 orario in cui il turno passava al fratello che era nato subito dopo di lei.

Nel frattempo a lei toccava svegliare una sorellina che andava alla scuola elementare, farle fare colazione, controllare che si lavasse e vestisse in tempo per uscire ed accompagnarla alla scuola che, fortunatamente, era abbastanza vicino a casa.

Poi, trafelata, si faceva a piedi la strada per venire all’Istituto Magistrale eppure arrivava sempre allegra, canticchiando qualche canzone di moda in quei primi anni ’70 e con la voglia di ridere e scherzare anche quando c’era compito in classe di Latino o di Matematica e il resto della classe non sollevava il naso dai rispettivi manuali.

Ausilia, a dispetto del nome molto devozionale frutto della poca fantasia dei suoi genitori ( era nata il giorno in cui, secondo il calendario, si festeggiava Maria Ausiliatrice), nome che a un primo ascolto sembrerebbe evocare l’immagine di una pudicissima educanda con le trecce e la camicettina bianca inamidata, era una ragazza spettacolare con un fisico estremamente atletico, capelli corti e neri leggermente ondulati, grandi occhi scuri e gambe così eleganti che facevano voltare per strada anche certi serissimi sessantenni , convertendoli di colpo all’idea che quella delle minigonne non fosse poi una moda così scandalosa.

Comunque non è del suo aspetto che volevo parlarvi quanto della nostra amicizia di quegli anni, un’amicizia fatta di complicità e di un leggero alito di follia, tanto che in sua compagnia io avevo fatto cose che mai avevo osato prima tipo fare l’autostop.

“Tagliare” da scuola per andare a fare una passeggiata in centro e persino andare a festeggiare il suo compleanno o il mio in alcune vecchie “piole” dove lei arrivava portando la chitarra sottobraccio senza custodia e si sedeva accavallando le gambe per intonare qualche canzone dialettale carica di doppi sensi.

Con lei tutte le pazzie diventavano cose normali, e così accadde che una mattina dell’ultimo anno di scuola, mentre stavo giocando a pallavolo in palestra durante l’ora di ginnastica, vidi entrare la bidella che con l’aria estremamente contrita si fermò a dire due cose all’insegnante e poi chiamò il mio nome.

La professoressa mi guardò e mi disse che potevo uscire perché un’amica mi aspettava in corridoio e doveva dirmi qualcosa di urgente. “E’ un’emergenza” disse la bidella sempre più compunta e rammaricata e io la seguii senza capire.
In corridoio c’era Ausilia che mi saltò al collo dicendomi all’orecchio: “Non voleva venire a chiamarti allora le ho detto che il tuo fidanzato ha avuto un incidente con la moto ed è ricoverato al Maria Vittoria in prognosi riservata …”

La guardai, poi guardai la bidella … Scoppiammo a ridere con grande sconcerto della poveretta ma … a diciott’anni io proprio non ero fidanzata e neppure pensavo a fidanzarmi.

Restammo molto unite ancora per altri tre anni dopo il diploma, poi lei si sposò e andò ad abitare in provincia, io fui molto presa dall’Università e dal lavoro come maestra elementare, così anche senza volerlo ci perdemmo di vista a volte per molti anni consecutivi.

Poi abbiamo ripreso a sentirci, anche solo al telefono, per raccontarci le vicende delle nostre vite come se avessimo di nuovo diciotto anni e bisogno di ridere un po’ su quello che ci stava accadendo.

Perché la vita è una cosa seria ma se hai un’amica / un amico con cui poter fare la stupida allora tutto diventa più sopportabile.

Immagine tratta dal web

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