Vi auguro il pudore del tempo e del miracolo

DI MARIAESTER GRAZIANO

Da piccola, quando c’era da dare un’elemosina, papà mandava me. Ho sempre creduto che lo facesse per farmi sentire grande, ma solo da poco credo di aver capito che lo facesse per pudore.

Sentiva addosso il disagio della disparità, che il privilegio da pane fosse una responsabilità e non un traguardo. La generositá per lui è un francobollo su una lettera senza mittente.

Mi insegnano il pudore del morso i miei genitori.
Non ho mai, dico mai, visto mia madre mettersi qualsiasi cosa in bocca senza chiedere vuoi pure tu? Persino in ospedale avrebbe voluto dividersi la flebo.
Il fatto è che sono nati poveri, da nonni che hanno mandato le ossa in guerra e nei campi, a praticare ferro e terra, a sperimentare il solco e la trincea.

Dai miei nonni era sempre una voce tiè commá, tiè zia Marí ( si chiamavano tutte Maria). Uno scambio continuo tra mani con l’odore di un cotto con la semplicità degli elementi e la pazienza del tempo da campana, senza minuti.
Così fa la natura col carbone, col disturbo dell’ostrica: con l’andare del tempo li promuove a diamante, a perla.

Anche io voglio un tempo disadorno della bigiotteria dei minuti, buoni solo per chi ha l’ora a tracolla come un’unità di misura per darsi il peso della fretta e della scadenza.

Vi auguro il pudore del tempo e del miracolo. La moltiplicazione è un prodigio che ha il presupposto della divisione.

Immagine tratta dal web

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