Vince chi molla

DI GIOVANNI BOGANI

Leggo le ultime righe della lettera di Irrfan Khan.

L’ospedale dove è ricoverato, scopre con sorpresa, è proprio davanti allo stadio del cricket.

Davanti alla sua stanza c’è la gigantografia di un campione: uno dei suoi miti da ragazzo. Come se io fossi ricoverato davanti allo stadio, con un’enorme immagine di Giancarlo Antognoni davanti alla finestra.

Irrfan pensa che quello stadio sarebbe stato il suo sogno: giocare in quello stadio, arrivare in quello stadio.

E pensa: fra il gioco della vita e quello della morte non ci sono che pochi metri di distanza. Qui l’ospedale, lì lo stadio. In mezzo, solo una strada. Come se nessuno dei due potesse essere una certezza definitiva.

Ripensa a quell’immagine. Il tappo di sughero in balia delle correnti. L’unica soluzione possibile: non cercare di dominarla, la corrente, ma lasciarsi andare. Non lottare più. “Sento le preghiere per me, di persone che conosco e di persone che non conosco. Sento che diventano UNA preghiera soltanto, la sento scorrere dentro di me”. Ma sente anche che il destino di quel tappo di sughero è lasciarsi andare. Non può cercare di dominare la corrente. Non lottare più, allentare la presa. Lasciare che la corrente faccia il suo lavoro.

Io ho sempre cercato di oppormi al tempo, alle braccia che dimagriscono, ai segni della vecchiaia. Ho cercato di camminare, di correre, di suonare la chitarra come quando ero ragazzo, quando cercavo di imparare a suonare, a correre, a vivere. In vista di un futuro che non ho mai conosciuto.

“Lascio andare la mano che mi stringe la gola / lascio andare la fune che mi unisce alla riva”. È una canzone di Niccolò Fabi, quel cinquantenne con la faccia da ragazzo che ha capito più di tutti la nostra condizione. “Distendo le vene / e apro piano le mani / cerco di non trattenere più nulla / lascio tutto fluire / L’aria dal naso arriva ai polmoni / le palpitazioni tornano battiti / la testa torna al suo peso normale / la salvezza non si controlla / vince chi molla”. Bisogna smetterla, col sogno di controllare tutto. Bisogna lasciare andare, tutto. Anche il nostro io.

Immagine tratta dal web

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