Yasmine, la bambina che ha sfidato il mare e la nostra coscienza

DI DOMENICO IANNACONE

C’è un’immagine che oggi dovrebbe scuotere ciascuno di noi: una bambina di dieci anni, aggrappata a una camera d’aria, sola in mezzo al mare. Si chiama Yasmine, ha attraversato l’orrore di una tempesta e il silenzio di una notte senza speranza. Con lei, in quel naufragio, c’erano 45 persone, tra cui suo fratello, nessuna delle quali è sopravvissuta.

Yasmine viene dalla Sierra Leone, ma potrebbe venire da qualsiasi luogo in cui la vita è una battaglia quotidiana contro fame, guerra e ingiustizia. Ha perso tutto, tranne il suo nome e la sua voglia di sopravvivere. È stata salvata dagli operatori di una Ong, mentre il mare continuava a divorare i sogni e le vite di chi cerca un futuro migliore.

Questa storia parla di lei, ma parla anche di noi. Della nostra capacità di chiudere gli occhi, di lasciare che il Mediterraneo diventi una fossa comune.
Yasmine è il volto di una verità che non possiamo più negare. Non c’è invasione, non c’è retorica che possa giustificare la perdita di così tante vite. L’unico nemico che dovremmo combattere è l’indifferenza, l’idea demagogica che chi fugge dalla disperazione sia una minaccia e non una richiesta di aiuto.

Il mare non ha pietà, ma noi possiamo averla. Yasmine ci ricorda il valore della vita, il coraggio dei più fragili, e il dovere di restare umani. Ogni persona salvata è una vittoria contro l’oscurità, contro l’idea che il destino di chi soffre sia qualcosa che non ci riguarda.

Non dimentichiamo Yasmine. Non dimentichiamo le 45 persone che non ce l’hanno fatta. Il Mediterraneo dovrebbe unire, non separare, e la nostra umanità si misura proprio qui: in ciò che scegliamo di vedere, e in ciò che scegliamo di fare.

Immagine tratta dal web

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