Non voglio mica la luna

DI GIOVANNI BOGANI

 

“Non voglio mica la luna…”. Era una delle poche canzoni che ti piaceva cantare. Non sapevi chi fosse Fiordaliso, la donna che la cantava, non sapevi di che cosa parlasse la storia. Ti piaceva quella frase. Perché ti somigliava.

Non volevi mica la luna. Non volevi la luna come me, che avrei voluto scrivere il romanzo del mondo, e scoprire una cura che guarisse il cancro, e vedere Astana, la città nata sul nulla, con una fontana che vista dall’alto sembra un’aquila,

o l’Islanda o la Mongolia, Ulàn Batòr e l’isola di Giava, e imparare il tedesco, l’arabo, il cinese e capire tutte le sfumature di pensiero di tutte le persone per leggere loro negli occhi cosa pensano, e capirli e amarli, e fari amare.

Non come me, che avrei voluto essere un grande attore e forse anche il campione mondiale dei millecinquecento metri piani, perché i mezzofondisti per me erano quelli che avevano il fisico più perfetto. E quando si sogna così, la mediocrità ti uccide, credi di essere una tigre e invece capisci di essere stato sempre e solo un coglione.

Tu no. Tu non volevi mica la luna. Volevi una casa, un po’ di tempo da passare al mare, volevi che tuo figlio non morisse schiacciato da un camion o divorato da una febbre, volevi leggere ogni tanto “Gente” e “Oggi”, guardare i bambini che cantavano in televisione, vedere le ultime tue amiche rimaste a presidiare il passato insieme con te.

Non ti interessava conoscere il Laos, l’India, l’Australia, non ti interessava andare in crociera, come faceva quella tua amica ottantenne che per sentirsi una gran signora andava in crociera tutte le estati. Non ti interessava avere una barca, non ti interessava avere una casa più grande.

Volevi solo quei quattro spicchi di felicità, di serenità, volevi soltanto che la vita fosse un lungo fiume tranquillo, e poi che finisse come e quando doveva finire. Non volevi neanche essere immortale.

“Non ho paura di morire, ho paura solo di soffrire”. Avevi paura del dolore fisico. Dicevi sempre “quando sarò morta”, per scaramanzia, però non ti sembrava una cosa così allucinante, come sembra a me.

A me la mia morte sembra impossibile, mi sembra impossibile che ciò che sono io, tutto ciò che sono possa scomparire, anche adesso, anche domani, o fra un anno, mi sembra impossibile che non solo le persone che amo debbano scomparire, ma che debba scomparire proprio io, chi sente, chi vede. Che si debba spegnere la telecamera. Non soltanto che la stanza, piano piano, si svuoti.

Ma che finiscano le batterie della telecamera, che si spenga la luce, tac, e non hai neanche il tempo di pensare “è finita”, perché non c’è neanche più il pensiero, non c’è niente.

Come mi disse, un giorno, Margherita Hack. Non c’è niente, si spegne l’interruttore, clic. E me lo disse con il sorriso, con quei suoi bellissimi occhi azzurri. Tu, mamma, non volevi mica la luna.

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