Salvador Dali’, The enigma of Hitler

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

‘Picasso è un genio. Anch’io. Picasso è spagnolo. Anch’io. Picasso è comunista. Io no’
Questo diceva Salvador Dalì a proposito del proprio rapporto con Picasso, in un continuo incontro-scontro di indiscutibili talenti, così diversi in ogni loro manifestazione.

Una differenza che non manca di emergere anche quando si tratta di affrontare qualcosa di davvero scomodo e inquietante come il male: mentre Picasso vi si accosta nell’ottica di chi ne è consapevole e ne compie una valutazione convinto di operare dalla parte del bene.

Dalì non è altrettanto tranciante; al contrario, sceglie di affrontarlo a viso aperto dandogli del tu, ma per fare questo deve essere pronto, e non fa nulla per nasconderlo ed accettarlo.
Non si tratta tuttavia di un’accettazione legata ad una supina sottomissione, ma rispetta l’eventualità di una possibile, folle attrazione del subdolo mistero.

Nessuna paura, nessun timore, nessun dubbio: la morte del senso di colpa accantonato nell’angolo buio dell’anima; mai abbastanza oscuro da essere ignorato, troppo seduttivo per non essere esplorato.

E Dalì opera una scelta difficile e controcorrente, che gli creerà non pochi problemi anche con gli altri artisti Surrealisti, rappresentando senza indugi ciò che, in quell’attimo, è considerato il tangibile segno del male: l’immagine di Adolf Hitler.

Tale da rievocare il turbamento di ogni stato europeo al cospetto del nuovo movimento nazista, l’immagine del dittatore tedesco appare in tutta la sua evidenziata realtà, sottolineata da un contesto surreale che la fa apparire ancora più vera e reale.

Il brusco risveglio da un incubo che, anziché dissolversi, si conferma nella sua ferocia, accolto da una probabile lacrima, sciolto in un’allarmante, incipiente distruzione e offerto nella propria ineluttabilità.

Malamente accettato da un sentimento in grado di avvizzire l’elemento potenzialmente vitale della luce presente: quel ramo secco e ritorto di cui non si riesce nemmeno a cogliere inizio o fine: alfa e omega di un’ossessione circolare passibile di essere interrotta da una coraggiosa forza di pur difficile affioramento, mitigata da quel ricevitore in via di distruzione, elemento ricorrente nelle opere dell’artista, accompagnato da dettagli idonei ad evidenziarne l’influenza ipnotica.

Dalì non ne ignora il pericolo, ma lo conosce, e in un profluvio di simboli, a tratti difficilmente riconoscibili ma mai di ispirazione scontata – i pipistrelli, la donna, l’ombrello – ognuno con il proprio portante significato, si diletta nel presentarci le nostre paure per evitare che ci inglobino.

I pipistrelli, aggressivi protagonisti di guerra, e la donna, ideale musa, onnipresente, amata Gala, quest’ultima seminascosta da quell’ombrello deputato a proteggerla.

Il dipinto, tenendo conto del periodo di realizzazione, pare altresì legato ai, poi rivelatisi inutili, tentativi di pace in occasione dell’incontro di Monaco del 1938; in tal caso l’ombrello potrebbe riferirsi ad uno dei protagonisti: il primo ministro inglese Neville Chamberlain.

Naturalmente, come sovente accade in questi casi, qualcuno vi ha voluto leggere una improbabile preveggenza, perlopiù fomentata da errori riguardo l’effettivo anno di realizzazione: sorte, da sempre, comune a qualunque opera si riveli suscettibile di essere fraintesa: ricordiamo il caso clamoroso di The Simpsons, che si diceva avessero previsto il futuro anticipando l’atto terroristico delle Twin Towers, in realtà smascherati da attenti osservatori, mai ingannati dalla fasulla cronologia di chi ne aveva, furbescamente, anticipato la data di creazione…

Salvador Dalì (1904-1989), The enigma of Hitler, 1939, olio su tela, 95×141 cm., Madrid – Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia
Immagine: web

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