Paglia

DI MARIAESTER GRAZIANO

Certo non sempre sai cosa vuoi per desiderare una notte di stelle cadenti. Allora si può cominciare da ciò che non sei.
Io, per esempio, non sono la tristezza dei cigni di ceramica in voga fino agli anni 80 che moltiplicavano lo sguardo ottuso e laterale da specchiere imparruccate di barocchi riccioli dorati.

Un occhio tremendo che tarlava le convalescenze di fiamminghi pomeriggi deliroidi alla Bosch.
E non sono la gioia di nonno altissimo con la Guzzini, la firma bella e le scarpe lucidate ogni sera per andare a lavorare nella polvere, ANAS e campagna.

Perché ho paura delle moto e perché sono bassa.
Perché mi manca quella dignità della calligrafia che rispetta la chiusura delle O e lo slancio di consonanti come fosse la divisa di rappresentanza con lucidi bottoni e asole rifinite.

Perché ho la polvere sulle scarpe come un talento di deserto sui passi.
Sono piuttosto una balla di paglia nel campo al tramonto quando i cerchi concentrici assomigliano a grandi ottoni di gong. Sono quel tipo di onda arrotolata, di spiga silenziata da una pressione totale.

Si può dare un nome e una forma alla solitudine per deciderne la frescura, la cornacchia che punge un tuo ricordo, l’ombra di un’ora che riordina una malinconia.

Non c’è dolore aggiunto in una balla di fieno, tutto ciò che doveva avvenire è accaduto già, è stato costumato e organizzato nella geometria concentrica della vertigine che mette un punto esattamente al centro di un inizio.

Immagine tratta dal web

 

 

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