La scatola dei ricordi

DI MARIAESTER GRAZIANO

Facevano bene a mettere quella scatola in alto.
Cartone con la scritta di una sottomarca, nulla di più. Solo, forse, era il fatto che fosse di un colore più acceso, blu intenso. Forse per questo l’avevano scelta tra le altre scatole di scarpe.
E non è che ce ne fossero molte, sandali per l’estate, dopo sci per l’inverno e scarpe della domenica.

Dunque avevano scelto una scatola blu, i miei, e avevano scelto di posizionarla nello scaffale alto dell’armadio. Anche loro, a volerla tirate giù, dovevano salire sulla sedia.
C’erano frattaglie del passato: dentini, trecce e foto.
L’urna di un nucleo famigliare defunto su cui stratificavano, al di sotto, nella vita vera, polvere e gite e pelle e capelli tinti.

Ora considerate che quella scatola scendeva giù, come un Gesù tirato dalla tunica dai guai di un cieco, in situazioni un poco tristi.
Dopo un lutto, per esempio.
Allora quella scatola scendeva giù e ci chiamava tutti in raccolta.
Di certo nulla cambiava di quei quattro quarti del nostro passato, poco si era aggiunto al contenuto, ma bastava per rimetterci al centro di un’origine.
Per dire, ecco l’ombelico, è vero che siamo nati.
A volte si aggiungeva la foto del lutto recente su quelli passati. La foto di una zia molto giovane morta già da parecchi anni, per esempio, metteva consolazione.

Si raccontava una storia di quello o gli scherzi dell’altra. Quasi sempre ridevamo. Così le mie ossa del passato, con un primo dentino in un po’ di ovatta, combaciavano con quelle dei morti e quelle dei sopravvissute.
Sapevamo che il dolore presente sarebbe stato meno doloroso se lo avessimo aggiunto agli.
Sarebbe diventato altro, un totale aggiustato.
Era un paradosso aritmetico ma funzionava.
Facevano bene i miei a metterla da parte, in alto.

Perché i ricordi, quando stanno sempre sotto gli occhi, si sciupano un po’, diventano banale sgombero per togliere polvere sugli scaffali.
Per farne qualcosa di serio, il fondamento di un legame, si devono mettere un po’ da parte, dargli il tempo del buio e della solitudine per lievitare abbastanza da farne un nuovo impasto

Immagine tratta da Pixabay

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