Crocefisso al filo spinato

DI GIOVANNI BOGANI

 

Sono tanto stanco, sai mamma. Scrivo pochi articoli, è come se il giornale ormai si fosse stancato di me. Non servo più. E forse non sono mai servito, ma magari lo hai creduto tu, e lo ho creduto io.

Quando aprivi il giornale, e ci trovavi il mio articolo, la posso solo immaginare la piccola gioia silenziosa, che non volevi dire a nessuno. Nessuna delle persone che incrociavi poteva saperlo, nessuno da tempo legge più i giornali.

E io non andavo abbastanza in televisione, o quando ci andavo era in orari impossibili, o in trasmissioni che sapevano di provincia, di periferia, con le scenografie vecchie di trent’anni, con la stessa aria delle scaffalature della Lidl.

Insomma, non potevi essere orgogliosa a voce alta, non potevi essere orgogliosa di me. E forse sei rimasta sempre incerta, se reputarmi un genio sfiorito nella sua adolescenza avvizzita, o un fallito da sempre.

Chissà con che occhi mi guardavi. Senza una donna, senza un lavoro fisso, eppure qualche volta in un festival, qualche volta in televisione. Mai felice, mai allegro, mai con la faccia del vincente, mai vestito bene. Chissà se eri più in pena per me, o più orgogliosa di quel misterioso e incomprensibile poco che avevo fatto.

Chissà se ti sembrava strano che Verdone mi telefonasse, e forse una volta te lo avevo anche passato al telefono. Chissà se hai avuto la stessa pena che doveva provare Maria per il suo figlio che, un frase gridata dopo l’altra, si andava scavando il martirio. Chissà se hai provato lo stesso strazio di Maria quando vedeva il suo figlio troppo magro, capellone, con amici disperati e senza fissa dimora, a delirare di cose che non comprendeva.

Una delle tante madri che hanno visto il proprio figlio straziato, umiliato, deriso e infine spazzato via da uomini più rozzi, trafitto con le lance mentre è appeso alla croce, o da una baionetta mentre è crocefisso nel filo spinato, come i ragazzi del ’99.

O ridotto a un groviglio di sangue, a una cascata di sangue con appeso un cartello al collo, questa è la fine che fanno i partigiani, o una frase simile, su qualche collina dell’Appennino.

Chissà con che occhi mi guardavi. Come quella volta che, a cinque anni, risposi con voce sicura a un signore di sessanta, commentando chissà che cosa, forse il Giro d’Italia o la corsa verso la Luna, o l’irrompere dello smog nelle nostre vite, con una proprietà di linguaggio spaventosa e aliena, come ragazzi con la sindrome di Asperger che vedi nei film, serio e logico come Greta Thunberg, e tu e il signore rimaneste a bocca aperta, e certamente nella mente ti nascevano ricami di bougainvillea, e ti si disegnava un sorriso.

Immagine tratta dal web

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