I ‘minestri’ e la parità di genere

di Carla Vistarini

Oggi leggendo il giornale mi è capitata sott’occhio la parola “ministra”. Che bella parola. O parolo? Tutte le volte che la leggo mi commuovo. Che neologismo moderno, progressista. Intenso come “sindaca”, e altre bruttur.. ehm, no, altri vocaboli che finalmente sanciscono la pari dignità.

Era dai tempi delle caverne che si inseguiva questo traguardo e ora ci siamo. Dante avrebbe arricciato il naso, forse, era così pignolo con le parole lui, pensate quante ne ha usate nella Divina Commedia. Ben 101.698. Ma lui era esagerato e anche antico. Tutte quelle parole per raccontare cosa? una passeggiata con Virgilio e Beatrice. Vuoi mettere L’UE che ne ha usate circa le stesse per decretare però una cosa veramente utile come la lunghezza delle zucchine?

Ma meno male che oggi abbiamo risolto tutti i problemi di genere solo cambiando una vocale. Questi aggiustamenti di termini secolari, se non millenari, danno molto da congratularci con noi stessi, società contemporanea. Basti riflettere su quale immane balzo in avanti si sia fatto nella scala della civiltà e soprattutto della parità grazie solo a quella “a” al posto della “o”.

Perché non ci abbiamo pensato prima?

La risposta c’è. E’ perché oggi siamo più intelligenti di Dante, Petrarca, Leonardo e via dicendo. Andiamo persino in monopattino. Resta solo da completare il processo di civilizzazione, applicando il metodo risolutivo della “a” al posto della “o”, a tutto. Anche alle piccole cose di tutti giorni.

Per esempio: minestra si chiamerà anche “minestro”, un giorno sì e un giorno no, per correttezza. E andando avanti sulla strada della parità i broccoli saranno anche “broccole”, ogni tanto, per non farli sentire emarginati, e i sedani sedane, e invece le patate, patati. Tutte le verdure potrebbero pretendere di cambiare in verduri. Perché gli altri sì e loro no? I ravanelli in ravanelle, i cavoli in cavole, i fagioli in fagiole, i ceci in cecie, la bistecca in bistecco (bisteccone c’era già a dire il vero , ma era un’intuizione imprecisa, e si configurava come un primitivo approccio a una parità di genere visionaria ma non ancora acclarata) ecc. ecc. L’orizzonte paritario si allarga poi ulteriormente con le parole che non finiscono né con a né con o., come per esempio “pepe”.

Il bello è che la parola si trinitizza e diventa sia pepo che pepa, tre pepi. Capite che l’affare si ingrossa, come diceva Totò. Il fatto è che sia che la chiami minestra o che lo chiami minestro, sempre zuppa è. (o zuppo?).

Shakespeare dice, in Giulietta e Romeo: “Che cosa c’è in un nome? Quella che chiamiamo rosa, pur con un altro nome, avrebbe lo stesso dolce profumo” . E forse, chi lo sa, pur se era antico, aveva ragione.

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