Alice Guy, quando il primo talento del cinema è donna

DI GIOVANNI BOGANI

Il cinema, parrebbe, è sempre stato una po’ questione di uomini: fin dalle origini, con i fratelli Lumière e con Georges Méliès, i pionieri degli albori del cinema.

E invece no. Le storie del cinema ancora non le dedicano lo spazio che merita: ma uno dei primissimi grandi talenti del cinema fu quello di una donna.

Si chiamava Alice Guy: e in Francia, stanno fiorendo le biografie sulla sua storia, mentre le storie del cinema iniziano a dedicarle lo spazio che merita. Un documentario, presentato un paio di anni fa a Cannes, racconta la sua storia.

È la prima regista donna della storia del cinema. E quasi tutte le storie del cinema si sono dimenticate il suo nome, hanno attribuito ad altri i suoi film più importanti, hanno fatto confusione con le date di realizzazione.

Alice Guy era una ragazza intelligentissima. Nata in Francia il primo luglio 1873, sbolognata dai genitori alla nonna in Svizzera, poi finita addirittura in Cile, dove una devastante epidemia di vaiolo costrinse i genitori a tornare precipitosamente in Francia.

E lì, a diciotto anni, imparò la stenografia, e finì a trovare lavoro da un certo Gaumont, un industriale che diventerà importantissimo per il cinema. “Lei è molto giovane, signorina” obiettò lui cercando di non assumerla. “Prima o poi passerà”, ribatté lei.

Caratterino. E intraprendenza, quando a ventidue anni vide, come altri pochi spettatori, la prima proiezione cinematografica della storia, tre giorni dopo il Natale del 1895. Pochi giorni dopo, all’inizio del 1896, Alice Guy aveva realizzato il suo primo film.

La storia di una fata – interpretata da lei stessa – che tirava fuori bambini da sotto i cavoli. Come la leggenda dettava. Il film si chiama “La fée aux choux”. Dura un minuto e mezzo.

Non era che una graziosa scenetta, un po’ folle, con bambini veri tirati fuori da sotto le foglie di enormi cavoli. Ma era un inizio, un inizio di narrazione realizzata con il cinema, quando ancora i fratelli Lumière pensavano che il cinema fosse una curiosità scientifica, o come disse il loro padre, “un’invenzione senza futuro”.

Lei il futuro se lo costruirà. Di film brevissimi ne creerà a centinaia. Sarà la prima vera regista degli studi Gaumont. Sarà lei ad andarsene negli Stati Uniti, a fondare una casa di produzione sua.

A creare i primi film sonori, con il chronophone. E a creare alcuni dei primi film colorati. Tornata in Francia, scrisse favole e racconti pubblicati in molte riviste: ma le riviste preferivano nomi maschili, e lei si dovette adattare. Firmò con pseudonimi, quasi tutti maschili.

Allo stesso modo, gran parte dei suoi film sono introvabili perché non sono firmati a suo nome, ma a nome della compagnia distributrice.

Dal 1896 fino al 1906 Alice Guy era probabilmente l’unica regista donna al mondo. Non era più la segretaria di Léon Gaumont, ma colei che dirigeva, produceva o supervisionava i film della compagnia.

Furono seicento in tutto i film Gaumont che videro in quegli anni la sua mano: e oltre a tutto questo, diresse o produsse più di cento film sonorizzati per il Chronophone Gaumont, un tentativo di cinema sonoro molto precedente alla “reale” nascita del cinema sonoro, nel 1927.

Lei era il capo della casa di produzione Gaumont, non la giovane segretaria. Come aveva detto al proprietario, non era più “troppo giovane”. Era passata, quell’età. Molto in fretta.

Nel 1907 Alice sposò un cameraman inglese di nome Herbert Blaché. Dopo le nozze, si trasferirono negli Stati Uniti. Fondarono insieme una casa di produzione, la Solax film: e naturalmente, la compagnia prese presto il nome del marito, Blaché Features. Poi Herbert iniziò una relazione extramatrimoniale con un’attrice, chiese il divorzio ad Alice.

Divorzio molto doloroso – lei tornò in Francia, non si risposò più: e il suo nome fu presto dimenticato. I libri del cinema ridussero i suoi meriti a quelli di una semplice segretaria,e insinuarono che fosse stata l’amante di Gaumont.

“In Francia”, disse lei, “ficnché una donna rimane, come si dice, al proprio posto, non riceve alcun rimprovero, ma se esercita le prerogative assegnate ai suoi fratelli viene malvista”.

Difficile ora ritrovare i titoli dei suoi film. Fra questi, “Le ombre del Moulin Rouge” nel 1913, e una serie di film realizzati nel 1914: “La donna del mistero”, “La donna del sogno”, “Il mostro e la ragazza”. E nel 1915 “Il vampiro” e “Che cosa dirà la gente?”. L’unico, però, ad essere sopravvissuto è “The Empress”, L’imperatrice, realizzato nel 1917.

Nel 1918, Alice Guy quasi morì di influenza spagnola, la piaga che – come il covid – devastò il mondo alla fine della Prima guerra mondiale. Divorziò dal marito Herbert Blaché nel 1920, e non si risposò più. Alice Guy tornò a Parigi, dove morì nel 1968.

Nel 2013, a Parigi, una piazza del 14esimo Arrondissement è stata intitolata a suo nome: Place Alice Guy. L’autobiografia che aveva scritto, nel 1940, dovette attendere quasi quarant’anni prima di essere pubblicata in francese: Alice Guy era ossessionata dalla tendenza di storici e critici del cinema a dimenticare il suo lavoro.

Correggeva affermazioni non corrette sulla sua vita: ma era una battaglia perduta in partenza. Eppure, fra il 1896 e il 1920, Alice Guy collaborò a più di mille cortometraggi, centocinquanta dei quali sono sopravvissuti.

Nel 2018, il documentario “Be Natural: The Untold Story of Alice Guy-Blaché”, narrato da Jodie Foster, racconta con l’attenzione che le è dovuta la sua straordinaria vita.

Immagine tratta dal web

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