Alimentazione e tumori: uno studio mette sotto accusa i cibi ultraprocessati

di Cristina Piloto (biologa e nutrizionista)

Uno studio prospettico francese pubblicato su British Medical Journal mette sotto accusa i cibi ultraprocessati. Secondo la ricerca (che – va detto – è di tipo osservazionale, cioè in cui i ricercatori si limitano ad osservare ciò che avviene) a un incremento del 10% di alimenti molto lavorati sulla nostra tavola corrisponde un aumento del 12% del rischio di ammalarsi di tumore in generale, e dell’11% di cancro della mammella in particolare.
Da molto tempo siamo ormai abituati a vedere nei ripiani dei supermercati alimenti conservati, inscatolati, essiccati e sempre più ricchi in zuccheri; ma quando è cominciato questo fenomeno e perché? Verso la fine del XIX secolo la seconda rivoluzione agricola favorì un incremento della produttività. La tecnologia spinse sempre più verso cibi raffinati, in quanto meglio conservabili. Lo sviluppo e l’espansione delle vie di comunicazione e delle capacità di trasporto crearono un mercato a carattere mondiale. La centralizzazione dei macelli facilitò il commercio della carne. Nacque l’industria delle conserve alimentari, delle carni conservate, della lavorazione del latte, della pasta alimentare.

Le modifiche dell’alimentazione furono repentine dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo. Finì l’epoca delle carestie e iniziò quella dell’abbondanza.
Malgrado l’apparente benessere e la quantità elevata di cibi a disposizione, ormai molto più accessibili a quasi tutte le classi sociali, il processo di industrializzazione causò l’insorgere di importanti problemi nutrizionali.
Si perse il senso della stagionalità e si cominciò a mangiare secondo ciò che la pubblicità proponeva e non secondo la qualità dei cibi. Gli alimenti divennero sempre più ricchi in zucchero e poveri in nutrienti.
Dopo il 1950, una crescita economica molto sostenuta favorì un aumento senza precedenti di reddito e capacità di acquisto e nacquero ovunque, sul modello americano, i fast food.
Questi cambiamenti, ai quali il corpo non è riuscito ad adattarsi, associati ad un consumo eccessivo di cibo rispetto alle necessità, hanno portato a un aumento delle patologie cronico-degenerative, in modo particolare l’obesità con tutte le complicanze, le malattie cardiovascolari, il diabete e molti tumori.
I ritmi quotidiani pressanti e mirati all’incessante produttività, non hanno aiutato a favorire una cura e un’attenzione nei confronti della propria salute, soprattutto a livello della prevenzione primaria e quindi mirando a non far insorgere le malattie piuttosto che curarle.
Quando la fame e la povertà mietevano tante vittime non si stava certo meglio, ma purtroppo non si è imparato a sfruttare la ricchezza per portare beneficio alla salute e per soddisfare, con la varietà alimentare che ci offre la natura, tanto le nostre necessità fisiologiche e nutrizionali quanto il piacere della buona cucina.
L’obiettivo deve essere invece quello di recuperare ciò che contraddistingue maggiormente un’alimentazione sana: alta qualità, grande varietà, stagionalità, moderata quantità e semplicità, in modo da fare quello che è nelle nostre possibilità, per arginare patologie che sembrano essere oggi, anche più diffuse di ieri, a causa di abitudini errate e stili di vita molto attenti all’efficienza, ma poco attenti al benessere psicofisico, anche per quanto riguarda ciò che portiamo in tavola.
*Immagine pixabay

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