Alla ricerca di Fatima, una storia palestinese.Romanzo di Ghada Karmi

DI PAOLO MASSIMO ROSSI

ALLA RICERCA DÌ FATIMA
Una storia palestinese
Romanzo di Ghada Karmi
Traduzione di Barbara Ronchi
Edizioni Atmosphere Libri

Ghada Karmi racconta la propria vita dall’infanzia al 1998.
Ma narra anche la storia della Palestina in quegli stessi anni.
L’una e l’altra – in realtà mai scisse nel racconto – viste attraverso gli occhi e i ricordi di Ghada bambina e vissute poi da adolescente e donna ormai emigrata in Inghilterra.

Ghada nasce nel 1939 nella città vecchia di Gerusalemme, terzogenita in una famiglia della borghesia palestinese.
Il padre è un intellettuale che lavora per il Ministero dell’Istruzione occupandosi, essenzialmente, di traduzioni e trasmissioni radio in lingua inglese per la popolazione del paese.

La madre, casalinga, gestisce il menage familiare con modalità non dissimili da quelle caratteristiche di un normale nucleo europeo.
Ghada ha una sorella, Siham, e un fratello Zihad, che svolgono ruoli di altalenante importanza nella sua vita.

A volte come affettuoso sostegno parentale, altre come dicotomica contrapposizione nelle rispettive e diverse prese di coscienza.
I genitori non vengono identificati con i nomi propri di famiglia ma, in accordo con la tradizione araba, con i prefissi Abu per il padre e Um per la madre, seguiti dal nome del figlio maschio: quindi Abu Zihad e Um Zihad.

Emblematizzazione di una cultura di forte stampo maschilista che prefigura, in grandi linee, i destini delle persone in funzione del sesso.

Ghada e la famiglia subiscono quella che si può giustamente connotare come una vera e propria occupazione violenta della terra palestinese da parte di ebrei provenienti da diversi paesi europei, soprattutto Russia e Polonia.
Sorta di diaspora all’incontrario, che trova un drammatico contraltare nell’espulsione (diasporica) della popolazione araba verso il mondo occidentale.

Il racconto di Ghada segue con crescente drammatizzazione l’incrociarsi di destini di due popoli che, diversi per lontananza e modi di vivere, diventano via via caratteristici di una convivenza conflittuale sempre più drammatica. Per sfociare, infine, in una guerra che provocherà – tragedia storica epocale – la fuga e la diaspora del popolo palestinese necessaria ai nuovi conquistatori per impadronirsi di case e terre.

Gli anni dell’infanzia di Ghada sono caratterizzati da attentati (tristemente famoso quello dell’Hotel Semiramis compiuto nel 1947 dagli israeliani dell’Haganà: 100 morti tra inglesi e arabi in epoca in cui Hamas non esisteva), dall’abbandono della Città Vecchia per Qatamon e, infine, per Damasco, ospiti lei e la famiglia del nonno materno.
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Con gli anni Ghada sembra acquistare, ad ogni modo, una coscienza più profonda di sé. Il mondo della Palestina che sembrava essere stato posto in un pallido dimenticatoio, torna a farsi strada nel suo animo attraverso la presa di coscienza del dramma dell’espulsione.

Delle sofferenze e della diaspora moderna dei palestinesi che assumono valenza di allegoria (e mi si perdoni l’uso di un termine che solo apparentemente può apparire eufemistico, essendo, invece, carico di una tragedicità necrofora e alienante) di quella sionista imposta dall’Imperatore romano Tito nel 69 D.C.

Ma, come spesso nel romanzo, la sovrapposizione della vicenda personale di Ghada con quella storica della Palestina, a fronte di un desiderio evidente dell’autrice di farne l’una pregnanza dell’altra, finisce per rappresentare, invece, una reciproca condizione al contorno dei due aspetti, mancando, di conseguenza, un vero approfondimento critico o narrativo di entrambe.

In questo senso l’autrice paga il pedaggio, strettamente letterario in realtà, di una duplice e conflittuale tendenza.
A momenti nei quali assume una posizione extradiegetica per porsi al di là dell’universo narrato, si succedono altri momenti in cui l’atteggiamento diventa intradiegetico mediante l’io narrante all’interno del testo.

La sovrapposizione, se da un lato poteva ben rappresentare la cifra caratteristica della storia, dando a questa una valenza umana e letteraria, da un altro – e a causa di elementi troppo in fretta glissati nell’andamento narrativo – finisce per rendere poco significante e piuttosto superficiale l’approfondimento degli episodi.
Resta Fatima.

Personaggio solo superficialmente caratterizzato nella prima parte del libro (quasi secondario rispetto al cane Rex e tanto più incomprensibilmente visto il titolo del romanzo) che si vorrebbe adombrare come metafora della ricerca: non di una persona ma di un paese e, ancor più, di una radice.

E, in tal senso, Ghada Karmi riesce (in questa fase e finalmente in modo chiaro e poetico) a far intuire come il suo ritorno in Palestina alla ricerca di Fatima sia, in realtà, la ricerca di sé e delle sue origini.

Immagine tratta dal web

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