Appuntamento con l’orso

DI FABIO BORLENGHI

 

 

Il giorno dopo una serata di fine agosto, conclusasi con l’osservazione di due orsi marsicani in alta quota, nei pressi di Scanno nella montagna abruzzese, insieme all’amatissimo nipotino Claudio, fui preso dal desiderio di riprovarci, sempre di sera.

Altre volte mi è capitato di avvertire una sorta di segnale interiore, sì insomma una sorta di ‘richiamo della foresta’, risoltosi poi con un incontro in natura, in genere con l’aquila reale, specie che seguo da tanti anni.

Difficile da spiegare il fenomeno sul piano razionale. Lo descriverei come un feeling presente fra due entità: l’uomo e la natura. E’ possibile che questo sentire, avvertire, percepire dipenda da una predisposizione o capacità individuale maturata nel tempo insieme a un amore smisurato per la wilderness.

E fu così che il ‘richiamo interiore’ mi spinse a cercare di rivedere il secondo orso osservato la sera prima, un grosso maschio che negli ultimi minuti di luce, circa alle venti e quindici, risaliva un pendio scosceso poco sotto la cresta della montagna che avevamo di fronte.

L’osservazione col cannocchiale durò poco, all’incirca un minuto, a causa della poca luce rimasta.
Ora il calcolo delle probabilità è tutt’altro che favorevole. Rivedere un animale selvatico ed elusivo come l’orso nello stesso luogo e più o meno negli stessi orari a distanza di un solo giorno pare una scommessa. Eppure il richiamo c’era…

E così, nel tardo pomeriggio, preparato lo zaino e tutta l’attrezzatura necessaria mi avvio in auto per raggiungere il punto di partenza della mia escursione serale. Messi gli scarponi e infilati gli spallacci dello zaino inizio a salire un ripido rilievo erboso dalla cima del quale poter fare mie osservazioni.

Mi ci vuole una mezzora per raggiungere la sommità. Tutt’intorno il verde dei boschi, le ultime fioriture estive e, a poco meno di un chilometro, un gregge di pecore che si muove ordinato in rientro verso lo stazzo. Ogni tanto il fischio acuto del pastore taglia l’aria come una lama, poi i soliti versi urlati e incomprensibili.

Ho montato il cannocchiale sul cavalletto e col binocolo scruto verso l’alto la montagna di fronte inquadrando il costone erboso dove il giorno prima si arrampicava il plantigrado, ma…ancora niente.
Manca un quarto d’ora alle venti, l’aria è fresca e ora ci vuole il maglione; i 1400 m si fanno sentire, tutti.

Ho il sole di fronte che ormai è sceso al punto minimo della sua visibilità, sfiorando il crinale montano. All’improvviso, come se qualcuno avesse agito su un telecomando, una nuvola di particelle biancastre in movimento caotico prende forma fra il rilievo che mi ospita e le pendici della montagna di fronte. Osservo il fenomeno col binocolo.

Gli ultimi raggi di sole invadono le lenti tormentandomi la vista mentre la nuvola sconosciuta si mostra in una danza caotica e sfrenata. Ora finalmente capisco di che si tratta. Migliaia d’insetti si sono dati appuntamento in quest’angolo di natura per compiere l’atto più importante della loro breve esistenza: la riproduzione.

L’immagine che ho davanti assomiglia a una straordinaria nevicata…estiva. Non appena il sole scompare dietro la montagna lo scenario cambia, con altri colori. Ora vedo arrivare, a pochi metri da me, coppie d’insetti ancora uniti mentre atterrano nell’erba.

Riesco a far salire una di queste coppie sul palmo della mano. Mi sento un testimone di nozze. Poco dopo il fenomeno regredisce fin quasi a scomparire, sono le venti e questo mi rammenta lo scopo della mia uscita. Ancora col binocolo a scrutare il pendio. Le ombre della sera hanno ormai invaso lo spazio dei luoghi, nel mezzo degli ultimi faggi, fra i massi calcarei isolati, il pietrisco dei ghiaioni di quota e qualche cespuglio di ramno, carico di bacche mature di fine estate tanto appetite dagli orsi che ne sono ghiotti.

Era proprio lì ieri sera ma ora non si vede…Invece no, eccolo! E’ lui, il maschio di ieri! Appena uscito da una macchia di vegetazione cammina fiero allo scoperto sulle quattro zampe risalendo il pendio. Lascio il binocolo e mi metto a osservarlo al cannocchiale. Ora quel luogo sperduto che poco prima sembrava una scena teatrale vuota, allestita senza attori, ha ritrovato il suo protagonista.

Con passo lento e costante l’orso continua a salire, ogni tanto fermandosi brevemente col capo alzato nell’atto di annusare l’aria. Il movimento armonioso delle quattro zampe mette in risalto una muscolatura di tutto rispetto.

Passano i minuti, l’immagine al cannocchiale è ancora buona, ancora pochi metri e raggiunge il crinale. Ora lo vedo fermo non più con lo sfondo della prateria del pendio ma del cielo ormai di un azzurro carico che vira al blu. Aumento gli ingrandimenti del cannocchiale, da quaranta a cinquanta. La visione si fa incerta. La notte incombe.

L’orso imperterrito cammina lungo il crinale come un artista circense sulla fune, poco sotto i 1900 m. Lo seguo fino a che lo posso vedere poi scompare alla vista, inghiottito dall’oscurità, gli mando un saluto vestito con tutta la mia ammirazione.

Noi sapiens ceneremo alle nostre tavole e poi ce ne andremo a dormire nei comodi letti, lui invece camminerà per ore nella notte fra boschi, creste, valloni, ruscelli, mangiando bacche, radici, faggiole e tutto quello che il bosco gli regala e questo grazie anche alla conservazione dell’ambiente naturale che gli appartiene, voluta nel tempo da uomini saggi e previdenti.


L’appuntamento s’è realizzato, magia di un feeling sconosciuto, forse ancestrale…
Fa freddo, il maglione non basta più, serve il vecchio giubbotto amico e compagno di tante uscite; quello con due buchi sulla schiena, ricordo di un incontro con un cespuglio spinoso di rosa selvatica..

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