Artisti buoni e artisti morti

DI ANTONIO MARTONE

Una delle grandi prerogative dell’arte e degli artisti è la libertà. Libertà pionieristica di cercare al di là del già detto e del già fatto. Libertà di investigare l’animo umano fino a tirarne fuori l’inaudito.

È chiaro che, a fronte dell’arte libera, tanti artisti hanno storicamente servito il potere: sono stati pagati dal potere e protetti dal potere. La storia è piena di buffoni, ciarlatani, mezzani, personaggi senza talento, abilissimi nello sfruttare le debolezze del potere, coprendone le malefatte con ghirlande maleodoranti ma molto ben pagate.

Eppure, c’è sempre qualcuno che sgarra; qualche maledetto che si ricorda che l’arte è nemica giurata del servilismo. Quando ciò accade, il potere, abituato a corrompere e addomesticare l’arte, è costretta a ricorrere all’altra metodologia di cui dispone. In verità, non la usa volentieri, soprattutto il potere di un sistema “libero” la utilizza soltanto se costretto.

E dunque, purtroppo vi sono degli artisti con cui è necessario usare le maniere forti: l’intimidazione esplicita, l’esclusione, il ricatto e lo stigma sociale.
Insomma, dal punto di vista del potere, il solo artista buono è l’artista “morto” – o mai nato, il che è lo stesso.

Immagine tratta da Pixabay

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