AUTUNNO MALINCONICO, QUIETO, SOGNATORE

DI FLORA CROSARA

È arrivato l’autunno. Si avverte già dal mattino presto, guardando le brume avvolgere la campagna e coprire l’orizzonte. Il quadro della Natura è tramutato, sotto la mano di un irriverente giocatore che ci cambia le carte in tavola.
Che è arrivato lo si avverte tutt’ intorno. L’aria si è trasformata, fresca e umida. Il cielo sovrastante, grigio, appare in tutte le sue sfumature: ora ghiaccio, ora perla, in alcuni punti acciaio, poi scuro, quasi fumo. Un grigio che ha preso il posto dell’azzurro splendente, primaverile ed estivo e che ora inonda i luoghi con il suo annuncio. Ma ci riserva anche, di tanto in tanto, qualche giornata di aceleste limpido, reminiscenza dell’estate che ci ha lasciati da poco.

Si odono gli stormi di volatili che con il loro vociare insistente, spostandosi tra gli alberi in voli pindarici, si richiamano e si radunano, pronti alla migrazione; punteggiano il cielo come piccole macchie su una tela, come piccoli punti di un ricamo a costruire qualcosa che pare un miracolo.
I viali del parco e dei giardini sono coperti da uno spesso strato di foglie cangianti: il rosso dell’acero, il giallo del tiglio, il color bruno ruggine del castagno… contrasti dirompenti per gli occhi che carpiscono e ammirano la chioma di certi arbusti e piante ancora verdi, loro i sempreverdi. Pare che l’arrivo della nuova stagione li abbia salvaguardati ma, a ben guardare, anch’essi hanno perso lo splendore ostentato nella stagione estiva appena terminata. I frutti dell’ippocastano sono a terra: il gigante ha lasciato cadere tra le foglie e i ricci aditi e semiaperti , così che le castagne marroni e lucide occhieggiano birichine dal loro guscio, come cassetti pieni di sogni, pronte a lasciarsi afferrare dai bimbi che ne fanno incetta, per i loro ultimi giochi liberi, all’aria aperta.
Sui marciapiedi si cammina in modo instabile, calpestando la coltre scivolosa di fronde, talune macere per la pioggia altre quasi rinsecchite per il lungo giacere senza nutrimento. Sugli alberi, dai armi quasi brulli, le foglie rimaste pendono e fremono tremule, come piccole bandiere: attendono anche loro di cadere salutando i rami che le hanno nutrite e tenute legate a sé, per molti mesi. La loro vita è quasi finita, devono lasciare posto ad altre nuove vite che – tra qualche mese – appariranno tenere e turgide per iniziare un nuovo, ineluttabile ciclo. Ma ora piove, piove per intere settimane, senza tregua. La pioggia fa la padrona cadendo a scroscio, formando pozzanghere, rivoli, ingrossando fiumi.
Sotto uno squarcio di sole, agli angoli delle strade i venditori di caldarroste si adoperano per servire i clienti con il loro cartoccio fumante e attizzano la stufa cilindrica per cuocere altri frutti. È il primo assaggio di stagione e il richiamo è forte: i marroni semiaperti, dorati, con la loro piccola crosta croccante e la polpa dolce sono un richiamo per il palato dei buongustai, adulti e bambini.
L’autunno malinconico, quieto, sognatore . Una stagione dai molti volti che evoca la fine della vita, il trapasso, l’addio. Celebra il ricordo e con esso porta tristezza e mestizia, tuttavia mescolandosi alle più belle armonie del cuore: il sogno e la forza, quella urlata dai molti colori sparsi qua e là, necessari perché sono l’ annuncio del cambiamento, quello di un ciclo che si chiude per dare spazio al nuovo per noi, rami dello stesso albero, l’albero della Vita.
L'immagine può contenere: pianta, albero, spazio all'aperto e natura
*Immagine di Maria Cristina Baietto

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