Diritto alla salute: il cittadino e la sanità

IL CITTADINO E LA SANITÀ

Uno degli argomenti  che più infiammano le piazze di discussione da ormai due anni, complice lo stato pandemico che stiamo vivendo è  il rapporto tra il cittadino e la Pubblica Sanità!

Come norma di carattere generale, per avere diritto alle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale quali visite, ricoveri, cure, bisogna essere cittadini italiani ed essere iscritti al servizio sanitario stesso; anche se non iscritti al servizio, possono goderne delle relative prestazioni i cittadini italiani residenti all’estero, i rifugiati politici e gli apolidi.

Le prestazioni sanitarie vengono garantite anche agli stranieri in regola con il permesso di soggiorno oppure agli stranieri, anche se irregolari, solo in caso di malattia, infortunio o maternità.

Premesso quanto sopra, andremo ora ad analizzare alcuni tra gli aspetti più “chiacchierati”che regolano i rapporti tra il “malato” ed il Servizio Sanitario Nazionale.

  • Il diritto all’informazione.

Il paziente ha sempre il diritto di essere informato sullo stato della sua malattia e sui trattamenti sanitari da praticarsi come, ad esempio, gli interventi chirurgici, le trasfusioni, le terapie, ecc. Per ogni trattamento sanitario è quindi necessario il consenso informato della persona interessata: è infatti diritto del malato valutare quale tipo di cura sia preferibile nel proprio caso. Se il paziente è minorenne il consenso deve essere prestato dai genitori; se questi ultimi si oppongono al trattamento, il medico dovrà ottenere l’autorizzazione dal Tribunale per i minorenni. Se il paziente non è cosciente, il medico deve, qualora possibile, aspettare che il malato si in grado di dare il proprio consenso alle cure da praticarsi; se il trattamento deve essere praticato con urgenza, il medico può e deve intervenire senza il consenso del paziente ancorché incosciente ovvero contro il parere dei genitori in caso di soggetto lminorenne. L’esigenza di salvare una vita, infatti, non può non prevalere sul diritto di ciascuno di essere informato sul trattamento sanitario che viene applicato.

  • Il medico di famiglia.

Ogni avente diritto ad usufruire del Servizio Sanitario Nazionale scegli, in base a liste compilate secondo la propria residenza, il “medico di famiglia” che, gratuitamente e presso il proprio ambulatorio, visita i pazienti. Il medico di famiglia prescrive farmaci, visite specialistiche e ricoveri non urgenti, certificando la malattia dei lavoratori dipendenti o la facoltà per gli studenti di essere riammessi a scuola.

  • L’ospedale.

Chiunque necessiti di cure urgenti ha diritto di essere ricoverato in ospedale.

Il ricovero viene disposto dal medico di guardia del pronto soccorso. In caso di mancata accettazione da parte dell’ospedale della richiesta di ricovero da parte di un paziente, quest’ultimo, al quale deve essere rilasciata una certificazione attestante la malattia riscontrata e la non necessità di ricovero, può presentare entro 15 giorni un reclamo scritto all’Azienda sanitaria competente. Le dimissioni dall’ospedale vengono decise dal medico ed al paziente dimesso verrà consegnata una lettera ove sarà specificata: la diagnosi di ingresso, le cure e gli interventi eseguiti, il decorso della malattia. Il paziente, previo rilascio di una specifica ed esplicita dichiarazione, può chiedere in ogni momento di essere dimesso, anche contro il parere del medico

  • La cartella clinica.

La cartella clinica è il documento “di identità” del malato nel corso della propria degenza e dove sono riportate tutte le notizie circa lo stato di salute del paziente al momento del ricovero, l’evolversi della malattia durante il ricovero e lo stato di salute del paziente al momento delle dimissioni. Ogni paziente ha il diritto di visionare la propria cartella clinica in qualsiasi momento e ad averne copia dopo le dimissioni.

  • Il trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.).

Su richiesta motivata di un medico, il Sindaco del Comune ove ha la residenza la persona interessata può disporre, a tutela della persona stessa o dei terzi, un trattamento sanitario obbligatorio. Detto provvedimento può essere impugnato avanti al Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.).

  • Le vaccinazioni obbligatorie.

Di grande attualità, il tema delle vaccinazioni. La legge prevede l’obbligatorietà di alcune vaccinazioni ma nessuno può essere obbligato con la forza a subirle: l’assenza di determinate vaccinazioni può però comportare il divieto di effettuare determinati lavori o determinate attività.

  • La sperimentazione.

La normativa prevede che nessun paziente può essere sottoposto a cure di carattere sperimentale senza il proprio consenso, neppure in caso di urgenza.

  • Il prelievo da persona vivente.

È consentito ad un soggetto, nell’esercizio del diritto di disporre del proprio corpo, di autorizzare prelievi ed espianti, purché questi non comportino la morte del donante o un danno di carattere permanente e irreparabile: sono ammessi, quindi, prelievi di sangue, pelle, frammenti di osso, midollo osseo. È permesso, inoltre, il prelievo del rene da persona vivente a tre condizioni1) allorquando il donante sia soggetto capace di intendere e di volere e sia consapevole del sacrificio che sta subendo; 2) il prelievo è finalizzato a trapianto su altra persona vivente; 3) il rene venga donato a titolo gratuito. Il nulla osta al trapianto del rene da vivente viene rilasciato dal Giudice competente in relazione alla residenza del donatore o dove si trova la struttura che effettuerà il trapianto.

  • La fecondazione artificiale.

Dal 2004, alle coppie che non riescono ad avere figli è concesso di accedere alla fecondazione artificiale. I medici e gli infermieri che non intendono partecipare a tali procedure possono sollevare obiezione di coscienza.

  • L’interruzione volontaria di gravidanza.

In presenza di determinati presupposti di fatto e di tempo, è possibile ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Nei primi 90 giorni di gravidanza, la donna può chiederne la sua interruzione qualora la prosecuzione della gravidanza possa comportare un pericolo, anche solo previsto o ipotizzabile, per la propria salute fisica o psichica. Dopo il 90° giorno, l’interruzione può essere disposta solo in caso della sussistenza di gravissimo pericolo di vita o per la salute psichica o fisica della madre o per la sussistenza di accertate o altamente probabili anomalie o malformazioni del feto. Tali condizioni devono essere accertate con rigore sulla base di esami e certificati medici: non basta più, come per i primi 90 giorni, la parola della donna. Quando il feto è già formato ed è capace di vita extra uterina, l’aborto è consentito solo in situazioni di pericolo di vita della madre. (FONTE: FaroGiuridico.it)

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