“È stata la mano di Dio”, di Paolo Sorrentino in anteprima mondiale a Venezia

DI GIOVANNI BOGANI

Il primo film italiano a Venezia è anche uno dei più attesi: “E’ stata la mano di Dio”, di Paolo Sorrentino, il regista dell’Oscar per “La grande bellezza”, il regista della serie “The New Pope”. Il regista dei sontuosi movimenti di macchina, delle eclatanti citazioni felliniane.

“E’ stata la mano di Dio”, in concorso alla Mostra del cinema, è anche il primo film in cui Sorrentino racconta se stesso. Sempre con ritmi episodici e atmosfere grottesche, esasperate, “alla Sorrentino”: però, questa volta, racconta la sua vita. Ripercorre la sua adolescenza a Napoli. La solitudine, il desiderio, il sesso, l’amore e il dolore. Un dolore bruciante.

Stavolta, i sontuosi movimenti della cinepresa lasciano il posto a uno stile più dimesso: come se il Sorrentino regista avesse voluto fare posto all’altro, al ragazzo che era. Quello che cresceva nella Napoli degli anni ’80, quello che ascoltava la musica nelle cuffiette e i genitori che litigavano nella stanza accanto. Quello che aveva l’abbonamento per il Napoli di Maradona, e che sarebbe andato incontro a una perdita straziante, improvvisa, tragica.

“E’ stato la mano di Dio” sarà nelle sale italiane dal 24 novembre, e dal 15 dicembre su Netflix. Ieri è stato mostrato in anteprima mondiale a Venezia. Abbiamo incontrato il regista.

Sorrentino, è il suo film più personale, più intimo. Perché proprio adesso? È cambiato qualcosa, in lei?
“Non lo so. Ho cinquant’anni, tempo di bilanci. Ho sentito che tutto quell’amore vissuto e quella caterva di dolore potevano diventare un racconto cinematografico. Mi sono sentito abbastanza grande per affrontarlo”.

Quanto coraggio è stato necessario?
“Io nella vita sono molto pauroso: ma nel cinema mi sembra di essere stato sempre abbastanza coraggioso. Stavolta c’è voluto più coraggio. Anche il coraggio di fare un film semplice”.

E’ stato un film liberatorio? Si è sentito in qualche modo liberato dal dolore che racconta nel film?
“Un film non basta a liberarti di cose che ti segnano la vita. La mia famiglia mi ha aiutato a tenermi a galla, ma certo caratterialmente pago le conseguenze di quello che ho vissuto. Ho scritto questo film anche per i miei figli, per spiegare loro certi miei comportamenti”.

“E’ stata la mano di Dio” è la celebre frase con cui Maradona giustificò il suo goal di mano all’Inghilterra, ai Mondiali del 1986. A Maradona è anche dedicato il film, così nel 2014 gli dedicò il suo Oscar. Ma avevate parlato insieme del progetto del film?
“Purtroppo no. Maradona non era un uomo facilmente accessibile, e non sono mai riuscito a parlargli. Il mio grande rammarico è di non avergli potuto mostrare il film”.

Che cosa cercava in Filippo Scotti, il giovane attore che interpreta il suo alter ego?
“Vedevo in lui la stessa timidezza, la stessa inadeguatezza che ricordavo in me, da ragazzo”.

Al centro del suo film c’è Napoli. Maradona, ma anche un amico contrabbandiere di sigarette, il mare, Capri di notte. Che cosa è per lei Napoli?
“Una città in cui tutto si mescola, una giungla dove trovi di tutto: leoni, uccelli meravigliosi, la bellezza del sacro, l’erotismo del profano”.

Ricostruire gli anni ’80, quelli in cui cresce il protagonista, che tipo di lavoro ha comportato?
“Da spettatore, sento che i film a volte si perdono nell’eccessiva cura dei dettagli d’epoca. A me non interessava riempire il film di pullover rosa e zainetti Invicta: volevo raccontare sentimenti che sono universali, e che incidentalmente accadono negli anni ‘80”.

Il suo stile in questo film appare molto diverso. senza filtri, diretto. E’ il segno di una svolta?
“Nei film precedenti facevo grande ricorso ai trucchi, a grandi movimenti di ripresa. Qui ho capito che non potevo farlo. Ho scoperto che basta mettere lì la cinepresa e dire agli attori: andate”.

Con questo film debutta su Netflix. Che cosa la ha convinta a collaborare con la piattaforma americana?
“Ero rimasto colpito dal lavoro che hanno fatto con il film di Cuaròn ‘Roma’, sia per come lo hanno prodotto che per come lo hanno lanciato. Ho pensato che, se avessero fatto lo stesso con me, sarei stato felice”.

Nel cast del film, Teresa Saponangelo, una bravissima Luisa Ranieri, Renato Carpentieri e Toni Servillo. Con cui prosegue un sodalizio artistico durato vent’anni.

Servillo, che cosa significa per lei questo nuovo film, vent’anni dopo “L’uomo in più”, il vostro primo film insieme?
“Sono felice di avere vissuto questi vent’anni insieme a Paolo. Sono stato, dice lui, un fratello maggiore. In questo film mi fa interpretare suo padre. Da fratello, sono stato promosso papà!”.

Immagine tratta dal web

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