Fabriano delocalizza azienda e manda in esubero 400 dipendenti. E’ la globalizzazione, bellezza

di Gerardo D’Amico

Un’altra azienda chiude, 400 operai ( il 70% della forza lavoro di quella fabbrica) vengono depennati come “esuberi”, in mezzo alla strada nel mezzo della propria vita, quando per i canoni produttivi sei stravecchio a 50 anni.
Questa azienda fabbrica cappe, ed è tra i leader mondiali tanto da essere diventata una multinazionale, partendo dal primo insediamento di Fabriano, nelle Marche.
Crisi di mercato? Pandemia? Crollo degli ordini? No. L’Azienda va a gonfie vele.

Ma il costo del lavoro è più basso nel suo stabilimento polacco, e con un po’ di frasi di circostanza si decima il presidio italiano.
È la globalizzazione, che poi ci permette di comprare quelle cappe a prezzi più bassi ( forse), e consente agli azionisti di guadagnare di più ( sicuramente): capita in decine di altri settori dove la manifattura può essere intercambiabile perché poco specializzata -e non è questo il caso- o per l’automazione.
O per esternalità come incentivi statali, miglior posizionamento geografico, collegamenti col mercato principale eccetera.
E per i costi di produzione: pagare una miseria chi produce qualcosa fottendosene della qualità della sua vita, pagare meno tasse ovviamente sono enormi incentivi.
L’esempio più eclatante è la moda, quei capi che qualcuno decide di comprare pagandoli centinaia o migliaia di euro ma il loro costo effettivo è di pochi euro perché fatti in Bangladesh e poi marchiati: ha fatto scuola.
Non aiuta la definitiva sparizione del concetto e del sentirsi “di classe”, tutti a votare per i proprietari di villoni e vip e gente glamour con un falsissimo ed illusorio transfer che trasforma l’ammirazione, l’invidia o la promessa in una cambiale in bianco a gente che poi ha qualche difficoltà a fare gli interessi di chi li ha mandati in Parlamento o alla Regione o al Consiglio comunale: ma non ci si può fare molto, è il mondo che si è strutturato in questo modo, con schiavi di fatto pagati per sopravvivere, e sono anche contenti rispetto al niente che avevano. Portano via il lavoro dall’altra parte del mondo a chi guadagnava poco ma ci viveva, ed ora non sa come andare avanti.
Ci hanno spiegato che il futuro è il terziario avanzato, tutti programmatori di computer e ingegneri spaziali, nella prossima vita.
Come si può reagire a tutto questo?
Dovrebbe farlo lo Stato, nelle sue articolazioni, ma non buttando soldi in attività decotte pur di non far licenziare i dipendenti: quella gente va sostenuta e riconvertita, e se l’Azienda ha un futuro di mercato ma non ce la fa bisogna che abbia aiuti pubblici, per quel che sia possibile.
Viceversa, se il Consiglio di Amministrazione semplicemente decide di sbaraccare in Italia perché altrove produce a minor costo, allora va fatta una legge che costringa a restituire tutti gli aiuti pubblici che quella azienda ha ottenuto nel corso degli anni.
Perché soprattutto nelle zone depresse, questi affamati industriali di soldi pubblici ne mungono a palate: poi arrivederci e grazie.
Bon voyage, ma almeno restituiteci quello che negli anni vi abbiamo dato.

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