Fabrizio Clerici, Un istante dopo

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Fabrizio Clerici, classe 1913.
Un artista eclettico, la cui biografia si snoda tra studi elevati e frequentazioni illustri, sullo sfondo di un periodo storico complesso, a tratti inquietante, in cui l’artista milanese, diviso tra Roma e le proprie origini lombarde – nella capitale, in qualità di studente universitario, avrà occasione di seguire le conferenze di Le Corbusier, a lui particolarmente congeniali dopo il conseguimento della laurea presso la Scuola Superiore di Architettura, e di conoscere Alberto Savinio, mentre a Milano conoscerà il fratello di quest’ultimo, Giorgio de Chirico, autentica miniera di continui confronti tecnici e artistici – sviluppa uno straordinario senso di ricerca, in grado di contemperare studi scientifici e visioni fantastiche.

L’originale dualismo personalistico di una vita follemente creativa, le cui incredibili manifestazioni artistiche guadagneranno l’ammirazione, tra gli altri, di Salvador Dalì.

Leonor Fini, Alberto Moravia ed Elsa Morante, Gasperoni del Corso e Irene Brin – la mitica Irene Brin, fantomatica rivale di Colette Rosselli, protagoniste a colpi di galateo di leggiadre battaglie sul fronte delle buone maniere; talvolta più affettato e lezioso quello della Brin, altolocata Contessa Clara, proustiana presenza della Settimana Incom, rispetto allo stile più autentico di Donna Letizia, meno contaminato da noms de plume fintamente blasonati, al contrario intuitivo e di grande savoir-faire – sono solo alcuni dei personaggi abitualmente frequentati da Clerici, con molti dei quali nasceranno lunghe e durature amicizie, ed è facile immaginare come una dimensione culturale del genere, pensando a qualcosa sulla falsariga de L’odore dell’India, di Pier Paolo Pasolini, in cui la concomitante presenza di Pasolini, Morante e Moravia struttura l’emozionante racconto di un viaggio sospeso tra incanto, malia, e tragedie esistenziali, trasformi ben presto il gene di una surclassante attività immaginifica, nel proficuo, materiali manifestarsi di un estro geniale.

L’attività di architetto, affiancata a quella di illustratore, prepara il terreno ad importanti interventi e collaborazioni in ambito teatrale: Clerici, nel 1947, inizia a cimentarsi nella fotografia occupandosi de La professione della signora Warren, di George Bernard Shaw, mostrando inaudite doti scenografiche, tali da incentivarne la partecipazione alla Biennale di Venezia e la conseguente collaborazione all’allestimento scenico in occasione dello spettacolo Orpheus, di Igor Stravinskij, allora in scena presso il Teatro La Fenice.

I numerosi viaggi che lo portano in giro per il mondo, sovente a caccia di territori inusuali e inesplorati, influiscono in maniera determinante sulla fervida psiche di un artista pronto e adatto a cogliere ogni sfumatura potenzialmente catalizzatrice, in cui le preponderanti, multiformi manifestazioni desertiche costituiranno il nucleo centrale di innovative apparizioni e pluralistiche epifanie.

Lo scrittore e critico d’arte Raffaele Carrieri amava definire Fabrizio Clerici come una spugna – una simile definizione è presente nel discusso film Il tagliaerbe, in cui un entusiasta Pierce Brosnan, descrive allo stesso modo la mente semplice del giardiniere con cui ha a che fare, e che tenta con ogni mezzo di elevare culturalmente …un’ingorda spugna asciutta – in grado di assorbire ogni cosa per poi farla propria, mantenendo in tal modo la possibilità di attingere ad un bacino talmente sterminato di informazioni, da destare reale impressione.

Nel 1922, le opere dell’autore milanese, affiancate a lavori riconducibili a compagni d’eccezione da Max Ernst, a Salvador Dalì, a Stanislao Lepri, senza contare le inevitabili, preziose contaminazioni/ispirazioni giovanili, da Domenico Gnoli a Enrico Colombotto Rosso, diventano protagoniste della mostra Fabrizio Clerici.

L’atlante del meraviglioso, curata da Giulia Tulino per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, encomiabile tentativo di ricordare, e rimarcare, l’arte fantastica italiana, spesso riduttivamente ricondotta alla definizione di un vago surrealismo, al contrario meritevole di una propria, lungimirante sottolineatura.

Nel 1972, in ossequio agli studi relativi a mitologia egizia e materie attinenti, Clerici, connettendosi al sentito tema del vuoto in qualità di elemento e spazio della memoria, realizza due tra i suoi dipinti più celebri: Corpus Hermeticum e Un istante dopo.

Un istante dopo, la cui atmosfera ricorda effettivamente quelle onirico-surreali di alcune opere del geniale Dalì – la casa editrice Einaudi lo sceglierà come immagine di copertina per La scomparsa di Majorana, di Leonardo Sciascia – rimanda ad una nuova entità sospesa e stimolante: in procinto di esistere, o forse già esistito, nell’ambigua dimensione di un Big Bang tutto da scoprire…

Fabrizio Clerici (1913-1993), Un istante dopo, 1972, olio su tavola, 100×10 cm.
Immagine: web

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