“Figli di una Gallura selvaggia” di Serena Careddu

DI CRISTINA BELLONI

Recensione “Figli di una Gallura selvaggia”
Di Serena Careddu
Un linguaggio schietto, a tratti crudo modella questo romanzo che racconta vicende di vita, di morte e di amore nell’arco di cento anni, tanti quanti ne ha Berardino, il vecchio patriarca, saggio osservatore ed in qualche modo benevolo partigiano del cambiamento sociale in atto.

Sarà lui di fatto, a voler indirizzare i tre giovani che lo accudiscono negli ultimi giorni della sua vita, spiazzati e disorientati tra tradizione e modernità, verso la capacità di riconoscere i veri valori a cui affidarsi, tra cui il sentimento dell’amore vero.
Lui, frutto di quell’amore che, clandestino e ostacolato sarà schiacciato e represso brutalmente nel sangue, racconterà la sua ed altre storie, non necessariamente sequenziali nel tempo, nelle quali il paesaggio aspro della Gallura è protagonista e testimone di eventi umani, di saghe familiari, di superstizioni e credenze, riti pagani impastati ad una religiosità trasformata in strumento di coercizione e di pregiudizio.

Fatti di gente semplice, vissuta da secoli in spazi rurali isolati in una natura bellissima, disadorna e difficile. Ed è proprio questa difficoltà e povertà di vita a generare un acuto senso dell’onore tribale e ferree, ataviche regole di convivenza, ma anche sofferenza, sensi di colpa, ostracismo e afflizione in coloro che vorrebbero opporsi allo status quo.
Ma soprattutto storie di donne che a loro modo si ribellano alla legge spietata che le vuole succubi impotenti della volontà maschile di padri e mariti. Donne che scelgono il loro destino pur sapendo di dover pagare a caro prezzo l’aver infranto i secolari dettami di antichi retaggi; quei rigidi schemi di comportamento plasmati dalle necessità di una ancestrale organizzazione della società che andava pian, piano perdendo la sua ragion d’essere.

Il vegliardo Berardino, prima di spegnersi, forte della sua esperienza, sarà capace di sublimare la sua sofferenza terrena ed anche idealmente il pesante fardello del dolore che pervade l’intera collettività, lasciando ai tre ragazzi uno spiraglio di fiducia che potrà condurli fuori dalla confusa tenebra morale, verso l’ampiezza di una diversa consapevolezza.
L’autrice narra della sua terra senza falsa retorica o visioni auliche; pur raccontando di luoghi e ambientazioni sentitamente a lei cari.

La stesura del testo coglie gli elementi essenziali sia dell’intero contesto che dei microcosmi individuali, dei diversi personaggi e delle vibranti situazioni, elaborati con uno stile personale sobrio ma incisivo, intrecciato quasi doverosamente ad inserimenti di espressioni dialettali che lo contestualizzano e valorizzano.
L’insieme che ne deriva è ricco ed emozionante, saturo di quelle speranze coerentemente e poeticamente riassunte nel sottotitolo: “ Amore vince morte”.

Immagine tratta dal web

 

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