Georgia O’Keeffe, Series I, n.4

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Esistono un prima e un dopo nella storia della pittura americana, e lo spartiacque artistico-temporale si identifica nell’Armory Show.

Conosciuta anche come International Exhibition of Modern Art, il 17 febbraio 1913, a New York, presso i locali dell’armeria del 69^ reggimento di fanteria, viene allestita un’importante mostra di arte contemporanea europea ed americana. Sterminata, con più di mille opere esposte, alcune destinate a suscitare scandalo, come il celebre Nudo che scende le scale, di Marcel Duchamp, artista non nuovo alle provocazioni, ma soprattutto innovativa, tale da permettere la nascita di una nuova coscienza relativa ai movimenti artistici fino ad allora misconosciuti o non adeguatamente apprezzati.

Il realismo, fino ad allora indiscusso padrone della scena, improvvisamente messo a confronto con l’avanguardia dei Fauves, Cubismo e Futurismo.
Da quel momento, la stessa città di New York raggiunge l’apice artistico: eletta centro culturale degli Stati Uniti, nonché una delle capitali dell’arte internazionale, si ritrova fucina di movimenti e proposte tra cui il Realismo urbano ed il Precisionismo.

Pur rimanendo il Realismo l’orientamento dominante, grazie al gusto per il dettaglio asservito al bisogno di documentare il nuovo scenario nazionale, utilizzando l’arte anche in funzione di un rilancio socio-economico, dopo la crisi del 1929 più che mai necessario, comincia ad affermarsi, incontenibile, il Precisionismo.

Il Precisionismo, una sorta di realismo contaminato da elementi ricollegabili al Cubismo ed al Futurismo, propone dipinti dal gusto foto-realistico, con peculiare ossequio verso l’era industriale.
Tra gli esponenti di spicco del movimento, non direttamente ricollegabile ad un manifesto comune, per quanto i partecipanti costituissero un gruppo ben affiatato, il pittore Charles Sheeler, dirompente a partire dai titoli dati alle proprie opere, in cui non esita ad attribuire l’aggettivo classico a paesaggi moderni di ispirazione industriale, e Georgia O’Keeffe, unica donna del gruppo, la quale, tuttavia, preferiva non evidenziare un dettaglio inevitabilmente riconducibile ad una probabile discriminazione di genere.

Carattere tenace e grintoso, che non le permetteva di accettare la definizione di miglior pittore donna al mondo: amava definirsi uno dei migliori pittori e basta, stroncando inutili differenziazioni dall’ambiguo sapore di disparità.

Da sempre attratta dalla forma, in grado di passare dal gusto per le raffigurazioni architettoniche a quello per le rappresentazioni naturali: teschi di animali, fiori e rocce colpiscono il suo sguardo, permettendo ad un talento moderno ed innovativo di esplodere attraverso figure esposte ad una luce peculiare, alla ricerca di un’espressione nuova, senza compromessi.

Amava il deserto sconfinato del New Mexico, dove aveva stabilito la propria dimora e dove si dice che il suo spirito, adesso, vaghi finalmente libero, com’era nella sua indole.

Nel 2016 viene celebrata attraverso una mostra alla Tate Modern, a Londra, in contemporanea con l’uscita del volume fotografico, Fashion ad the art of being, dedicato all’altra, iconica, artista sudamericana Frida Kahlo: Mexico e New Mexico a confronto, tra folk, natura e passione.

Un connubio che la moda, ben lungi dal lasciarsi sfuggire l’occasione, non mancò di celebrare con creazioni ad hoc.
Series I, n.4, appartiene ad una consuetudine dell’artista, spesso impegnata nel proporre rivisitazioni di immagini in ossequio al principio secondo cui ‘vedere richiede tempo’.

Ed è esattamente questo che viene richiesto all’osservatore: un tempo senza impazienza in grado di connetterlo con l’opera, che in alcuni casi si distacca dalle consuete raffigurazioni floreali per mostrare l’intensa, profonda forma del carattere della natura.
Non occorre la rappresentazione: è sufficiente l’idea.

Quell’idea fissata e tracciata che, in particolare nel periodo in questione, tra il 1915 e il 1918, si affida alla concezione sperimentale di un tratto visivo naturale e spontaneo.
Non è Radiator Building, che arriverà solo una decina d’anni più tardi, con tutta la sua carica di fantascientifica lividezza sospesa tra Fritz Lang e Ray Bradbury, ma l’energetica notazione di un mondo disvelato, riconducibile ad effetti cromatici e linearità naturali che pretendono infinita attenzione.

La lavorazione in serie potrebbe superficialmente suggerire una ingannevole assuefazione, mentre si rivela la ricercata proposizione, e riproposizione, di un percorso artistico sviluppato in funzione di un risultato non semplice da ottenere.

Si modificano dettagli talvolta infinitesimali, si interviene discretamente su assuefatte linee di assimilata schiettezza, eppure è proprio quel cambiamento, latente e discreto, a permettere di rimodulare l’immagine principale conducendo in un luogo diverso rispetto a quello di partenza, tanto che negli anni successivi, anche grazie alle geniali intuizioni del compagno, il fotografo Alfred Stieglitz, alcune opere verranno rilette in senso erotico-femminista, con grande giubilo dei movimenti idealmente inerenti, cui tuttavia si dice la O’Keeffe rimanesse perplessa e tendenzialmente ostile: più orientata verso i propri reconditi desideri di anelata libertà, che diretta ad assecondare discutibili interpretazioni in nuce praticamente sconosciute.

Un sodalizio iconico e non privo di contrasti, che nel corso degli anni trasfigurò in una graduale separazione, anche se nulla di tutto ciò rimase destinato all’oblio…

Georgia O’Keeffe (1887-1986), Series I, n.4, 1918, olio su cartone, 51×40.6 cm., Monaco – Lenbachhaus
Immagine: web

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