Giovanni Segantini, Pascoli di primavera

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Verso la fine dell’800, allo stesso modo in cui, in Francia, si elaborano le teorie del colore che porteranno al pointillisme, in Italia si sviluppa la cosiddetta tecnica divisionista: i colori non vengono mescolati prima dell’utilizzo, ma soltanto accostati, direttamente sulla tela, in modo che la commistione si realizzi attraverso l’occhio, e lo sguardo, dello spettatore.

Si tratta di una corrente pittorica, non limitata, tuttavia, alla mera tecnica; spesso insiste su significati simbolici, in netto contrasto col precedente verismo, e, di conseguenza, con i macchiaioli.
Prevalentemente circoscritta all’ambito lombardo, si oppone, distintamente, alla razionalità tipicamente toscana.

Giovanni Segantini è il più anticonformista dei divisionisti; riluttante ad ogni inquadramento schematico, e difficile da etichettare, è stato definito il più “pittore” del movimento, a causa della propria scarsa disponibilità verso l’applicazione della teoria in questione.

Affronta la natura permeato da un forte sentimento religioso, lo stesso atteggiamento vagamente mistico, che gli farà dichiarare, scrivendo al cospetto dei Grigioni svizzeri: ‘Certe mattine, contemplando per qualche minuto questi monti, prima di mettermi al lavoro, mi sento spinto ad inginocchiarmi innanzi a loro come dinanzi a tanti altari contro il cielo’.

Allo stesso modo in cui ama la natura, comunica il profondo rispetto e l’intensa partecipazione alla vita degli esseri viventi che popolano il paesaggio a cui si sente, così empaticamente, legato.

Tra gli anni 1888 e 1890, crea uno dei suoi capolavori più toccanti: Le due madri, in cui la scena rappresentata mostra la comprensione, ed attenzione, dell’autore, verso il mondo agricolo, attraverso la riunione, in un unico, ed universale, senso materno, della mamma col bambino, e della mucca col vitellino.

Il simbolismo dell’opera risulta, quanto mai, evidente: entrambe accomunate dalla profonda durezza del lavoro, si dedicano con umiltà, ed intensa dedizione, al proprio ruolo, condividendo una indiscutibile povertà che, fisicamente, le avvicina, nel fioco chiarore della stalla, mentre si occupano dei rispettivi piccoli figli.

Dello stesso genere, La filatura, che presenta un contesto simile a Le due madri, proponendo la consueta sottolineatura dell’umiltà, accentuata da ambiente e luminosità.

Quasi sovraccaricato rispetto alla realtà, ma necessario per esprimere la profondità del sentimento che l’autore intende testimoniare.

Pascoli di primavera, risalente al 1896, è un’opera più complessa di quanto possa apparire osservandola superficialmente, in grado di racchiudere reconditi significati simbolisti in una scena apparentemente tranquilla.

Caratterizzata da un originale dinamismo, non immediatamente percepibile – l’immagine, grazie ad una tecnica pittorica incentrata sull’utilizzo di veloci e brevi pennellate, armonicamente costruita dal movimento delle nuvole alla postura di animali e personaggi presenti, rappresenta una sorta di reale compenetrazione tra le vite vissute dei protagonisti, ognuna dipendente l’una dall’altro.

Segantini non offre scene di genere o di denuncia sociale, al contrario dimostra quanto accade attraverso le pacate armi di cui dispone – tela, pennelli e ingegno – arrivando a concepire bucoliche allegorie, la cui interpretazione conduce a nuovi, stimolanti significati: mai scontati, talvolta ricorrenti.

Sovente legati al tema della maternità, l’opera proposta non pare un’eccezione, ennesima resa di un momento di rinascita, visibile non solo nella presenza della mucca col vitellino: qualcuno ha suggestivamente evidenziato l’assonanza tra il colore chiaro dei bovini e quello delle retrostanti cime innevate, fascinosamente ricollegati ad una visione materna della natura in cui ogni elemento conserva un proprio ruolo di ciclico rinnovamento…

Giovanni Segantini (1858-1899), Pascoli di primavera, 1896, olio su tela, 96×154.5 cm., Milano – Pinacoteca di Brera, opera non esposta
Immagine: web

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