Greta, un volto e tante maschere

DI FLORA CROSARA

Le succedeva, ogni volta che doveva staccarsi da qualcuno: la tristezza, sgradito ospite, arrivava già qualche giorno prima. Greta avvertiva un malessere che non sapeva spiegare. Le saliva dalla pancia, le inondava lo stomaco, le stringeva il cuore. Un senso di sopraffazione: essere di fronte a qualcosa di opprimente e non sapere come uscirne. Qualcosa più grande di lei, che non le permetteva di intravedere alcuna via di fuga. Questo stato la aggrediva. Era un tipo di magone che, poco a poco, la privava di ogni energia, della sua naturale allegria. E lei, povera piccola, non volendo causare preoccupazione a nessuno indossava la maschera della spensieratezza, sopra il suo cuore infelice.

Ricordava certe mattine a scuola, quando salutava la mamma che andava al lavoro. Pensava che non l’avrebbe più rivista, che sarebbe rimasta là, abbandonata. Allora, presa dalla disperazione, piangeva ma poi si vergognava di fronte ai compagni. Inventava scuse. «Piango perché ho un gran mal di pancia! » Oppure reagiva con scortesia, inveendo : «Ma che vi importa del perché piango?» Gridava la dolce Greta, con un volto che non era il suo e si nascondeva dietro la maschera della rabbia. In fondo, Greta non si spiegava davvero la causa del suo disagio, non lo avrebbe voluto: invece provava un forte imbarazzo. Oltre a soffrire per la nostalgia, penava anche perché accampare scuse e trovare risposte fittizie non era da lei. Si sentiva falsa, bugiarda e cattiva. Di certo non era così ma, essendo una bambina, non poteva saperlo. Allora aveva dato un nome a quelle bugie. Erano bugie bianche. Dette a fin di bene. Non era la maschera della falsità, ma solo una difesa.
Il malessere era forte anche quando in estate terminate le vacanze con la mamma, al mare, suo padre veniva a prenderla per portarla al paese dai nonni, la famiglia paterna. Le piaceva continuare le vacanze in un altro luogo ma, nel momento del distacco, era assalita da un senso di tristezza profonda, un nodo che saliva fino alla gola e l’ incomodo si ripresentava. Si arrabbiava del fatto che le accadesse tutto ciò: non lo avrebbe voluto. Un po’ capiva, un po’ no. Comunque la risposta alle tante domande che nascevano nella sua mente di bambina, era una sola: la mamma le sarebbe mancata tanto! Soprattutto la sera quando, dopo una giornata di giochi e divertimento che le avevano impedito di pensare, addormentandosi, avrebbe avuto bisogno dell’abbraccio di sua madre. Le sarebbero mancati il suo profumo delicato, la dolcezza del bacio della “buonanotte”, le parole dolci e soprattutto la tenerezza e i battiti del cuore materno, che lei avvertiva appoggiando la testolina sul seno morbido. Non che suo padre le facesse mancare affetto, questo no, ma la presenza di sua madre era un’altra cosa. Il sorriso impagabile sul volto materno era la più bella espressione che desiderava vedere, quella che l’ accompagnava verso il sonno.
I suoi genitori erano separati ed era stato meglio così: ameno non litigavano quasi più. Per lei una consolazione! Ricordava una frase che sua nonna aveva pronunciato dopo la sentenza del giudice, apprendendo la sentenza sull’ affidamento dei due bambini. Il padre, presuntuoso e rigido, infuriato con l’ex moglie aveva reclamato i figli. Una custodia serale per più giorni nella settimana e tre weekend mensili, soluzione accettata a forza dalla giovane donna che, sfinita, voleva evitare ulteriori contestazioni. La maschera della sconfitta, quella indossata da sua madre al termine dell’infelice unione matrimoniale, Greta la ricordava bene. L’anziana aveva esclamato sconsolata: “ Che cosa assurda! I bambini hanno bisogno della mamma!” E Greta, nonostante la tenera età, si era trovata d’accordo con la nonna: era vero, lei avrebbe voluto stare con sua madre più tempo possibile! Ma non aveva protestato: ancora una maschera, quella dell’accettazione passiva. Da allora, per Greta, i momenti del saluto e del distacco erano stati frequenti. E la sua nostalgia era peggiorata. La tristezza la invadeva e nulla le dava consolazione. Allora stringeva Pingui, il suo pinguino di peluche, unico oggetto che la faceva sentire meno sola. Gli animali, veri o finti, possono essere di grande aiuto nella disperazione. Gaia lo ripeteva sempre e ora, nonostante fosse adulta, stringeva a sé Lollo, il suo orso morbido e mollo, capace di consolare le melanconie infantili che si era trascinata, nel cammino. Non se ne vergognava, caduta la maschera dello smarrimento, si sentiva in diritto di riconoscere i suoi bisogni. Da adulta aveva avvertito la necessità di scovarne l’origine, razionalizzarlo e vincerlo, quel dolore. Alla fine aveva vinto lei e, libera, aveva pensato: « La nostalgia: che sentimento triste e inutile. Nostro malgrado ci sono cose che crescendo portiamo dentro, diventano parte di noi e ci rimangono nell’anima. Finiscono per esserci compagne».
A lei era accaduto proprio così: quel senso di malinconia velata le era rimasto come un morbido abito, una dolce compagnia, non le faceva più male. Tutto ormai era chiaro. Si dice che il tempo guarisca ogni ferita, Greta invece era convinta che il tempo non faccia altro che mostrare il vero volto delle persone, svelando le loro maschere. Quelle che lei aveva visto nel teatro della sua vita ora le scorrevano davanti. Poteva guardarle, con serenità.
 © Dal Contest “Oltre la maschera” indetto da Letteratura Alternativa Edizioni – Novembre 2020 –

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