Ho visto centomila soldati

DI ANTONIO MARTONE

 

Sono tanti: è davvero un grande esercito! Uno più, uno meno, fanno in tutto centomila. Visti da lontano, l’impressione è enorme quando si leggono quegli enormi “presente” posti sulle tombe. Se il visitatore si avvicina, l’emozione non è meno forte: può prendere atto dei nomi di ciascuno, incisi uno per uno nelle lapidi.

Hanno tutti più o meno l’età di mio nonno che è stato loro compagno d’armi. Sono morti sulle alture del Carso, di Gorizia e nella valle dell’Isonzo, oppure sono stati colpiti quando difendevano la linea del Piave per evitare che la disfatta di Caporetto fosse definitiva per le sorti della guerra. Molti di loro invece, chissà, saranno caduti nell’offensiva finale, quando, a Vittorio Veneto, il grande Impero austroungarico dovette cedere sotto la pressione delle nostre armate.

A Redipuglia, ho visto lo spazio contrarsi e raccogliersi in un unico gesto eroico rivolto verso il cielo.
A Redipuglia, ho visto l’incredibile e folle stupidità della guerra prendere la forma di migliaia di morti.
A Redipuglia, Ares e Odino celebrano incessantemente la loro vittoria, sotto il sole bruciante d’agosto o nel freddo rabbioso di gennaio. Ares e Odino trionfano per l’eternità, sotto una volta luttuosa e vuota di azzurro-grigio.
Ares e Odino piangono insieme a migliaia di madri, di mogli e di padri che si son visti portar via brutalmente i loro uomini e i loro ragazzi. Il sacrario è immerso nel silenzio. Il silenzio che appartiene soltanto a ciò che è eternamente vivo.

Il genere umano è nato nelle grotte e poi è vissuto nelle palafitte. All’epoca della loro fanciullezza, gli uomini non potevano nominare gli altri, e neppure sé stessi, perché non disponevano di parole. Il cielo era soltanto un mistero abbagliante di luce che appariva e scompariva, arrecando indicibili inquietudini nel cuore dell’uomo.
Il genere umano ha trasformato il mondo, creando e sviluppando condizioni di vita che potrebbero far vivere oggi dignitosamente, se solo volesse, l’intera umanità. Abbiamo conquistato il cielo e reso fertile la terra. Abbiamo imparato a simbolizzare la nostra esperienza e a tramandarla ai posteri. Abbiamo dato un nome a ciò che prima era soltanto un mistero. Ci siamo inerpicati in quel cielo che per milioni di anni era stato visto con spavento estremo e vi abbiamo lasciato un segno della nostra presenza.

Facciamo che il frutto di centinaia di migliaia di anni, di intelligenza, di lavoro e di sacrificio, non venga vanificato di colpo sotto il dito di uomini che hanno scelto di compensare la loro impotenza umana con una insulsa e assurda potenza politica.

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