I canti gregoriani

DI GIOVANNI BOGANI

 

Quella notte di Pasqua del 2017 ho visto la chiesa ortodossa aperta, e tutta illuminata. Mi sono fermato, e sono entrato.

Alcune donne con il velo e un cero in mano. Lo tengono con una cura infinita, come fosse un piccolo dio di cera. Hanno quasi tutte le scarpe da tennis, e uno strano modo di stare curve, miti, con le braccia nude e l’aria da contadina russa, anche quelle bellissime, di vent’anni. Che camminano, su e giù, come in una strana sfilata di moda. Perché nelle chiese ortodosse si sta in piedi, e ci si muove. Non come in quelle cattoliche, dove ognuno sta al suo posto. Qui si muovono tutti, come in una strada o una piazza.

E poi quei canti. Cantati con tanto impegno. Certo, sono lo stesso popolo che ha creato i Gulag, il Kgb, il mondo tetro e minaccioso di là dalla Cortina di Ferro. Ma è così bello, qui, vedere questa chiesa, con le cinque cupole a forma di cipolla fuori, le grandi croci d’oro. E dentro queste donne che si fanno il segno della croce ogni minuto, con i movimenti della mano invertiti rispetto ai nostri. Il braccio sulla spalla, da loro, va prima a destra poi a sinistra.

Un bambino dorme sulla spalla di suo padre.

Poco più in là, un uomo alto con i capelli a spazzola, come Dolph Lundgren in “Rocky IV”, quello che diceva “io ti spiezzo in due” .

Un altro uomo, tutto serio, in giacca, legge un piccolo breviario. Si avvicina a quattro campane di bronzo che stanno all’ingresso della chiesa, e le fa suonare.

E io, con la custodia della chitarra sulla schiena. Che spero per un attimo che si mostri Dio, in questa chiesa che non è mia. Ma io, una chiesa mia, non ce l’ho.

Io che spero per un attimo che si mostri Dio, fra questa gente che canta. Fra queste ragazze che sembrano angeli, e forse diventeranno grasse signore che una volta erano state bellissime.

Esco dalla chiesa. Due zingari, al cancello, chiedono soldi. Ma io non ho niente. E per fare vedere le mie mani vuote inciampo nel selciato. La zingara dice “fare attenzione”, in italiano, con un tono quasi amichevole, protettivo. E io mi vergogno di me, che non avevo neanche niente da darle.

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