I nostri giovani sono fragili.
L’università é cambiata, giovani tra accesso alle facoltà e test preselettivi alle prese con mesi di preparazione.
Prove difficili e complesse che non sempre assicurano la riuscita. Una serie di aspettative alte e scelte condizionate sull’onda emotiva del momento.
Siamo capaci di leggere i segnali di disagio? Conosciamo i nostri figli? Li supportano abbastanza? L’università attiva servizi di supporto psicologico e valutazione delle difficoltà? I tempi di vita e qualità sono garantiti?
Un insuccesso porta con sé una serie di strascichi che se non valutati sfociano nel bisogno di porre in essere un atto contro sé stessi.
La paura di non essere all’altezza e di deludere la propria famiglia diventano pesi insopportabili.
Non è un 30 a qualificare una persona.
Non correndo alla meta a tutti i costi. Vivi. Durante la corsa ad ostacoli può capitare di cadere, sosteniamo.
Usciamo dalla stucchevole lode e diamo agli studenti la possibilità di respirare tra gli esami, di vivere i tempi di vita, di sperimentare la professione, di ricordare, usciti “dall’Accademia dei traguardi” di essere capaci di guardare alle possibilità con ottimistismo e di aver acquisito la consapevolezza che al di là del titolo conseguito o meno, che si può essere anche altro.
La nostra vita é centrata tutto sul successo, sulla bravura, sul voto migliore, sul lavoro qualificante e scollati dalla triste realtà di fuori percepiamo di non essere abbastanza.
Siamo tutti responsabili se la sensazione di malessere cresce sul grado delle aspettative e degli applausi e aggiungo dei like.
L’uomo scompare per le sue qualità per far posto alla vanità e vanificazione degli sforzi.
Maria Ronca, sociologa
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