I separati

DI ANTONIO MARTONE

Non c’è dubbio: la morte separa il vivente dalla vita e, per questo, non c’è violenza più forte che possa subire un essere umano comparabile alla morte.

Tuttavia, quando sopraggiunge la morte, questa può manifestarsi in tanti modi diversi. La peggiore è quella che, già in vita, comincia col separare il vivente non soltanto dalla sua vita quotidiana, la sua casa, il suo lavoro, il suo ambiente abituale, ma soprattutto dai suoi affetti più intimi.

In questi casi, che le nostre comunità hanno cominciato a sperimentare drammaticamente (e con numeri spaventosi) in tempi di pandemia, avviene qualcosa di insopportabile, di insostenibile, di disumano: ciò che emerge è la morte in vita.

Il vivente comincia a morire – di fatto muore – quando si ritrova in un letto, impossibilitato magari perfino a sentire le voci della sua vita dentro un dispositivo elettronico. In tal modo, qualcosa di estremo assume una forma nerissima: attraverso la lacerazione del tessuto dell’esistenza, la morte s’impone sulla vita prima che la vita stessa lasci definitivamente colui che è destinato a morire.

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