Il «mare guasto» di Ungaretti

DI VANNI CAPOCCIA

 

Finale

Più non muggisce, non sussurra il mare,
il mare.

Senza i sogni, incolore campo è il mare,
il mare.

Fa pietà anche il mare,
il mare.

Muovono nuvole irriflesse il mare,
il mare.

A fiumi tristi cedè il letto il mare,
il mare.

Morto è anche lui, vedi, il mare,
il mare.

(Giuseppe Ungaretti, La terra promessa)

Le poesie, prima di leggerle, è utile guardarle. “Finale” è di sei strofe di soli due versi (distici) ciascuna, e la cosa che a prima vista si nota è il ripetersi de: “…il mare, / il mare.”.

Poi ci si accorge che ci sono tante pause suggerite dalle virgole, dai punti alla fine dei versi, dallo spazio bianco tra una strofa e l’altra. Richiede, quindi, una lettura lenta. Cadenzata. Scandita dal ripetersi de il mare che sconsolatamente cade di verso in verso, di strofa in strofa.

In “Finale” colpisce non tanto la tristezza (il mondo è pieno di poeti e poesie tristi) quanto la fisicità e consistenza delle parole che vanno a stimolare i sensi e il sentimento. Leggendo sembra di sentirlo il rumore fioco del mare, di vedere la sua onda stanca, la bavetta che sciacquetta desolata la riva di una spiaggia grigia graffiandoti il corpo e l’animo ogni volta che lo fa.

L’odore è cattivo. Tutto è gelido. Non c’è colore. Non c’è vita. Oltre il mare: nulla.

Foto tratta dal web

 

scrignodipandora
Latest posts by scrignodipandora (see all)

Pubblicato da scrignodipandora

Sito web di cultura e attualità