Il patto sulla scuola è una scatola vuota. Niente negli articoli 58/59 del decreto sostegni è vietato dal pacco

di Salvatore Salerno

Scritto sicuramente da un tecnico intelligente del Ministero dell’Istruzione per blandire i grandi sindacati che ci sono caduti solo perché si riconosce con parole generiche un sistema di relazioni sindacali e tavoli tecnici dove continueranno a sopravvivere e guadagnarci anche loro nel burocratismo imperante, nella formazione, nei gruppi dirigenti che stanno attraversando un triste momento di debolezza, non senza una reazione adeguata da parte loro, visto che indicono scioperi con partecipazione da prefisso telefonico o appena sopra, come gli ultimi due.

Ma i Decreti li fa sempre il Governo come dimostra il blitz della parte scuola del decreto sostegni bis con gli articoli 58 e 59. Hanno firmato cgil-cisl-uil, lo snals e l’anief. Non hanno firmato Gilda e sindacati di base.
Criticare parzialmente un decreto ignobile del governo, senza un minimo di autocritica su quello che hanno firmato, appare dunque come un’operazione ipocrita da parte dei sindacati costretti a manifestare il 9 giugno e invocare emendamenti parlamentari.
Qualcuno, come l’anief, addirittura si vanta e propone un suo emendamento facendo finta di non sapere che gli emendamenti ai decreti li possono presentare solo i parlamentari, non i sindacati o chiunque altro. L’affermazione della non compatibilità del “patto” con il Decreto è falsa perché in quel patto, che è un vero e proprio “pacco” alla napoletana, non c’è contraddizione con una sola frase o parola del decreto sostegni.
Non c’è scritto nel patto niente che riguardi i precari se non di una generica fase transitoria ed è quello che ha fatto a suo modo il governo. Niente sui diritti del lavoro dopo tre anni di servizio, niente sulla sacra abilitazione italiana, quella è la patente per insegnare, per farlo da precari basta il foglio rosa. Non c’è scritto niente sugli organici di settembre, quelli di diritto e neanche quelli di fatto (cioè quanti soldi metti nel bilancio dello Stato in via permanente e quanti ne metti al risparmio per tamponare con supplenze e incarichi) .
Non c’è scritto niente sulla mobilità mentre il decreto “concede” tre anni anziché cinque ma nega le assegnazioni provvisorie, niente sulle classi pollaio o, peggio, vengono giustificate. Su queste ultime hanno sottoscritto infatti che se ne riparla “alla luce dell’andamento demografico”, tradotto: vanno bene così a meno che in Italia non nascano un milione di bambini in pochi mesi, mentre il sole24 ore (organo della Confindustria) si affretta a pubblicare e intimare sulle proiezioni a 10 anni, meglio 15 anni o anche 30, non ci saranno più nuovi nati in Italia, a che servirà la scuola?
Le classi sovraffollate moriranno di morte naturale a causa della denatalità insieme alla morte naturale di un Paese che non fa figli. Si teorizza gioiosamente il declino di un Paese intero senza chiedersi perché non si fanno figli, eppure la risposta sarebbe semplice, non c’è sul piano sociale ed economico un sistema che aiuti le giovani coppie ad assumersi la responsabilità di mettere al mondo una creatura senza prospettive, impossibile da mantenere e da gestire da sole. 
Solo tre cenni per i tempi brevi in quel patto, cattedre a settembre senza specificare numeri, contratto di lavoro senza indicare i tempi (dopo 30 mesi dalla scadenza) e cifre di stanziamenti congrui, meno alunni per classe ma con la condizione della denatalità come abbiano scritto in precedenza, il sistema di relazioni sindacali e i tavoli tecnici per fare contento anche Landini che ci crede.
Il resto fumo a futura memoria, il PNRR già pregiudicato negli atti di indirizzo e trasmesso a Bruxelles. 
Intanto è definita nella premessa del “patto” che la scuola è luogo di sviluppo delle competenze ed è quanto dire. Nessun altro riferimento ai tempi di una grande riforma della riforma essendo tutti d’accordo che va bene quella di Renzi, la 107 scritta da fondazione Agnelli, treelle e Confindustria, un solo articolo e 300 commi approvato in fretta, con le sue numerose deleghe al governo Renzi, Gentiloni, Conte1, Conte2, Draghi, in piena attuazione.
Non si cambia una virgola.
Un patto pieno di formazione su tutto e per tutto, tavola apparecchiata per enti di formazione orientata, spesso inutile e dannosa, si punta sui cervelli intontiti da tanto sapere accademico, formazione a raffica, permanente, estenuante. Si continua a speculare sulla dispersione e abbandono scolastico con le parole attribuendo alla scuola tutta la responsabilità e soliti proclami su sud e zone svantaggiate.
La cornice di un Paese, non soltanto la scuola, che non pensa alla coesione territoriale (da Cavour), che cresce in maniera diseguale fra nord e sud, fra centro e periferie, fra disoccupati concentrati nelle regioni del Sud, cervelli che vanno all’estero (si, proprio quei laureati italiani tanto vilipesi da invalsi e ocse, incapaci di trovare lavoro in Italia perché si addita la scuola che non funziona, non il mercato del lavoro o l’imprenditoria italiana).
Una cornice che non vale la pensa richiamare nel patto.
Questa nuova grande riforma (l’ennesima e cercata solo dal Ministro pro tempore come tutti i Ministri precedenti che vorrebbero essere ricordati dalla storia), secondo il Bianchi pensiero, la devono fare gli istituti tecnici superiori e professionali, le scuole di comunità e corbellerie varie che derivano da un’esperienza da assessore dell’Emilia Romagna, per competenze regionali dunque, derivano da studi accademici sempre sulla stessa linea. Fuori dall’Emilia e al suo attivo un saggio pubblicato da “Il Mulino”, il prof. Bianchi è spaesato nel contatto con la scuola reale, è un economista applicato e rimane con quel suo limite.
Ma si può negare ad un Ministro una riforma?
E quindi, sottotraccia quel patto è un ulteriore atto di accusa a chi nella scuola ci lavora, unici responsabili. Secondo il verbo dei Gavosto e dei nuovi portavoce ufficiali per stampa e tv alla Giannelli. Sono i docenti e gli ata il male assoluto. La soluzione è lavorare di più, torture formative, valorizzazioni promesse da sempre, generiche, mai sugli stipendi che sono la vera misura di una considerazione sociale perduta, di un riconoscimento professionale negato.
Strappare quel patto sulla scuola dunque non serve molto come non serve strappare un foglio vuoto. Ma non si dica che il decreto sostegni bis, per la parte sulla scuola, è un controsenso rispetto al “patto”, è invece perfettamente coerente alle politiche del nuovo Ministro, come di quella precedente.
Non c’è niente che sia diverso dal patto, soltanto la messa in pratica secondo il governo Draghi, una semplice implementazione che chi governa ha il diritto di fare a suo modo e, se lo fa lo stesso giorno della firma solenne, il messaggio per i sindacati dovrebbe essere ancora più chiaro. A ciascuno il suo e ciascuno si chieda se ha fatto la sua parte, è evidente che il governo si e i sindacati firmatari no.
Servirebbe invece un cambio di passo del governo e anche del sindacato. 
All’uno e agli altri bisognerebbe ricordare che insieme possono fare solo la contrattazione non patti. Vedremo come andrà a finire in Parlamento e ne riparleremo.

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