Il tempo a passo d'anima ⋆ lo scrigno di pandora

DI MARINA AGOSTINACCHIO

In questo breve viaggio cinematografico che mi piace raccontare, non attraverserò il già detto lungo le storie dei personaggi.
A me interessa dire qualcosa sulla misura data al tempo, un tempo come coscienza, durata, un tempo dilatato nella pesantezza e nella leggerezza di vite che si incrociano.

Sono di fronte al film La prima neve, del 2013, del regista Andrea Segre, dinnanzi al quale lo spettatore si trova solo, al cospetto di se stesso, solo a sciogliere quel nodo di mistero che con l’ età adulta si è preferito accantonare o forse solo a scordare.
Non è poi per molti di noi così importante sentirsi in obbligo di dipanare il filo dell’ infanzia e della prima adolescenza; la vita prosegue lo stesso la sua corsa in discesa, proprio come fa Michele, il bambino protagonista del film, nelle sue scorribande per il bosco in val dei Mocheni.

Attraverso “La prima neve”, possiamo guardare insieme gli scenari che si aprono con gli occhi incantati di Michele nella sua “immersione” nelle luci filtrate tra i rami degli abeti, o nei sogni disturbati tra immagini paurose e l’ improvvisa apparizione del padre, morto.
La pellicola scorre in panorami montani avvolti dalla nebbia, dalle fragranze di un miele che porta in sé l’ aroma di un miele, da un cielo che si muove a passo d’ anima tra l’ autunno e l’ inverno.

La pesantezza del vivere non riguarda soltanto Michele. È anche di Dani, l’ immigrato che ha perso la moglie per parto, appena giunta in Italia nella traversata dalla Libia.
E così il tempo delle vicende umane trova interlocutore privilegiato la parola, sciolta in una babele linguistica: la lingua mochena, il francese, l’ ewe, l’ italiano.

Questa miscela di suoni dà forza alla linea di quel tempo che non ha gambe per correre secondo un ordine materiale superiore, poiché si muove lungo un asse di emozioni, nel dolore, nei soliloqui, nel sogno, nei silenzi che ci appartengono, oltre a chi le ha rappresentate sullo schermo.