Johannes Vermeer, La merlettaia

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Johannes Vermeer, il pittore dell’anima, del silenzio e della luce.
Così definito da Stefano Zuffi nel Grande atlante della pittura – dal Mille al Duemila, l’artista esprime, attraverso le proprie opere, la medesima riservatezza che contraddistingue la sua vita.

Le informazioni biografiche risultano estremamente esigue, ma sappiamo che trascorre tutta la sua breve esistenza – scompare alla giovane età di quarantatré anni – presso la cittadina di Delft, in Olanda, mantenendo una famiglia alquanto numerosa attraverso le attività di locandiere e mercante d’arte.

Inizialmente si dedica a scene mitologiche e religiose, poi, dal 1656, grazie a rapporti con artisti dell’epoca, tra i quali Gerard ter Borch, concentra la propria attività sui temi della vita quotidiana, dando vita a veri e propri capolavori grazie ad un uso sapiente della luce, frutto degli insegnamenti della pittura fiamminga del Quattrocento a cui aggiunge una tecnica paziente e particolarmente raffinata.

La cura di ogni minimo dettaglio viene interpretata con sensibilità innovativa in grado di conferire ai dipinti una concretezza delicatamente unica.

La modesta vita di Vermeer non gli impedisce di coltivare amicizie culturalmente importanti, che, indubbiamente influiscono sulle sue tecniche di realizzazione: frequenta il grande scienziato Antonie van Leeuwehoec, inventore del microscopio, il quale contribuisce a trasmettergli un grande insegnamento: il segreto della vita è nascosto nelle piccole cose, che la luce può rivelare a chi ha occhi, cuore e pazienza; un connubio tra scienza ed arte foriero di scoperte affascinanti.

Il Quentin Tarantino della pittura: colui che con una produzione piuttosto limitata, dettaglio che idealmente lo accomuna al celebre regista statunitense, mantiene un livello di qualità talmente elevato da guadagnarsi un posto indiscutibile nel relativo Olimpo.

Un dettaglio assolutamente non irrilevante, in particolare quando si valuta, come sottolineato da Vittorio Sgarbi in Lezioni private 2, il collegamento tra valore artistico e materiale, in ossequio al cinismo di Warhol che abbinava senza mezzi termini il valore dell’opera al suo prezzo, confermando quanto accaduto dagli Impressionisti a Picasso, poi sublimato da Van Gogh, per ricavarne il corollario secondo cui l’arte contemporanea finisce per attribuirne uno più determinante alla quantità rispetto alla qualità.

L’artista guadagna fama e popolarità in base alla diffusione sul mercato, con la conseguente produzione di copie, stampe e multipli.

Vermeer è il classico autore con uno straordinario catalogo, seppur limitato ad un numero esiguo di opere, tuttavia con la straordinaria abilità di rivelare all’osservatore l’elevazione della semplicità.

Non solo riguardo alle scene di genere, scorcio vitale di uno sguardo gettato al di là di un’epoca, ma la vera e propria trasformazione dell’immagine femminile, che Philippe Daverio evidenzia nella creazione dei nuovi tipi umani generati nelle Fiandre olandesi, in cui la bellezza idealizzata si accosta alla concretezza pratica di una quotidianità ben lungi dall’essere ordinaria, probabile conseguenza della forzata coesistenza tra costume borghese e morale calvinista.

La merlettaia, che Vermeer realizza intorno al 1670, incarna realmente quell’enigmatico, misterioso fascino che solo la semplicità riesce a generare, nella circoscritta dimensione di uno sfondo neutro apparentemente corredato da un’innocua scena di genere.

Ma è proprio quell’immagine, come del resto aveva già suggerito La lattaia, di qualche anno precedente, a nobilitare il contesto attraverso una inestimabile delicatezza.

La seduzione della, e nella, concentrazione, che onora il gesto rendendolo ammaliante…

Johannes Vermeer (1632-1675), La merlettaia, 1670 c., olio su tela, 24×21 cm., Parigi – Museo del Louvre
Immagine: web

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